Harveys & Son

Tratto da La birra nel mondo, Volume II, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Lewes/Inghilterra
Azienda dell’East Sussex, sulla riva del fiume, fondata nel 1790 da John Harvey e tuttora nelle mani dei suoi discendenti, giunti alla settima generazione, anche se il mastro birraio, Miles Jenner, è un estraneo.
L’edificio in stile vittoriano con le caratteristiche torri, che nel 1881 aveva soppiantato quello originario georgiano, nel 1996 subì ingenti danni per un incendio.
Oggi la Harveys & Son, continuando a utilizzare impianti e metodi tradizionali, offre prodotti di qualità in un vastissimo assortimento. Controlla 48 pub nel Sussex e svolge anche un’attività come grossista di sidro, vini e liquori.
Harveys India Pale Ale, india pale ale, in realtà una bitter, di colore ambra intenso (g.a. 3,5%, in bottiglia 3,2%); la versione in bottiglia è filtrata e pastorizzata. Con una carbonazione piuttosto bassa, la spuma ocra emerge ricca, minuta, cremosa e di sufficiente tenuta. L’aroma si libera con una certa dolcezza, a base di malto, caramello, frutta a nocciolo. Il corpo è sottile e di trama molto acquosa. Il gusto, non così intenso, si rivela però fresco, gradevole, pulito, con “belle” note di mela, malto tostato, nocciola, scorza di agrumi, luppolo fruttato. Il finale appare abbastanza asciutto e un po’ floreale. Il retrolfatto erbaceo è improntato a suggestioni amaricanti, anche lontanamente metalliche.
Tra le stagionali:
Harveys 1859 Porter, porter di un profondo marrone scuro, quasi nero (g.a. 4,8%); con rifermentazione in bottiglia. È disponibile, anche in botte, per tutto il mese di marzo. Fu lanciata nel 1993. Viene elaborata con malto scuro, secondo la ricetta di Henry Harvey risalente al 1859. Con l’effervescenza piatta, la schiuma beige fuoriesce fitta e salda. L’aroma appare piuttosto complesso, con i lieviti in evidenza tra sentori di agrumi, luppolo terroso, cioccolato fondente, miele, prugne, liquirizia, zucchero di canna. Il corpo, abbastanza pieno, presenta una tessitura oleosa tendente all’acquosa. Il gusto propone un’interessante combinazione di luppolo fruttato, legno, fondi di caffè, pane tostato, fumo; e, in prossimità del tragiardo, una punta di acidità. Il finale semisecco indugia in una consistenza cioccolatosa. La lunga persistenza retrolfattiva sa tanto di caramello bruciato con impressioni morbidamente amare.
Si distinguono invece nella serie delle celebrative le seguenti referenze.
Harveis Elizabethan Ale, barley wine di un profondo marrone scuro (g.a. 7,5%); a volte apparso anche in botte. Le versioni più vecchie avevano una gradazione alcolica leggermente diversa, fino all’8,2%. Creato nel 1953 per celebrare l’incoronazione della regina Elisabetta II, oggi ha una produzione invernale. Con un’effervescenza quasi piana, la schiuma beige, mediofine e bassa, svanisce rapidamente. L’aroma è dolce, con fievoli sentori alcolici che accompagnano note di malto, pane, frutta secca, orzo tostato, foglie, cioccolato, melassa, scorze di frutta candita, zucchero di canna. La struttura del corpo è notevole, in una trama sciropposa pressoché appiccicosa. Il gusto pulito di malto, bilanciato da un buon luppolo fruttato, si evolve verso un lungo finale secco e impreziosito dal luppolo in fiore. A sua volta, il retrolfatto non dura tanto, il tempo di erogare le sue impressioni amarognole.
Tom Paine, ESB di colore ambra rossastro (g.a. 5,5%). Fu proposta nel 1991, in occasione del bicentenario dei The rights of man (“I diritti dell’uomo”) di Thomas Paine, che era vissuto a Lewes, sede dell’azienda. È un prodotto estivo (commercializzato a luglio), luppolizzato a secco e offerto sia in botte che in bottiglia pastorizzata. La carbonazione piuttosto bassa genera una schiuma biancastra non abbondante tanto meno duratura. L’aroma si libera con acuti sentori terrosi e legnosi, seguiti a ruota da tenui richiami di malto, luppolo fruttato, noce, caramello, erba. Il corpo medio ha una trama a chiazza di petrolio. Il gusto, delicatamente segnato dal malto, scivola su base di luppolo asciutta e un po’ amara. Il finale risente abbastanza l’alcol, e diventa di un pulito semisecco prima di lasciare il campo a un lungo retrolfatto resinoso peraltro gradevole