Radeberger Brauerei

Tratto da La birra nel mondo, Volume IV, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Radeberg/Germania
Azienda della Sassonia, vicino a Dresda, fondata nel 1872 col nome di Zum Bergkeller. Fu il primo birrificio in Germania a produrre birra esclusivamente secondo il metodo della pilsner.
Con l’inizio delle sportazioni, nel 1885, l’azienda cambiò il nome in Radeberger Exportbierbrauerei.
E la Radeberger Pilsner, nominata ufficialmente, nel 1887, da Bismarck Kanzler-Bräu (“Birra del Cancelliere”), l’11 dicembre 1905 veniva addirittura dichiarata “birra da tavola di Sua Maestà il Re Federico Augusto III di Sassonia”.
Sempre nel 1905 cominciarono le esportazioni negli Stati Uniti e in Canada.
Nel 1946 il governo comunista della Germania Est assunse il controllo del birrificio. Nel 1954 la compagnia iniziò a esportare in tutto il mondo. Nel 1990, dopo la caduta del muro di Berlino, Binding Brauerei acquistò la birreria e provvide subito a una completa ristrutturazione per portarla allo stato di una delle più moderne d’Europa. E, nel 1994, la Radeberger produceva già un milione di ettolitri.
Passata, nel 2002, al Gruppo Oetker, col suo nome, Radeberger Gruppe, fu ribattezzato il Binding Gruppe, nato nel 1952.
Nel 2004 la Radeberger Exportbierbrauerei veniva rimossa dal mercato azionario diventando una società privata del Gruppo Oetker.
La produzione contempla soltanto una marca, Radeberger Pilsner, con la versione Zwickel alla spina.
Al nono posto tra le birre più vendute in Germania, la Radeberger ha oggi un flusso annuo di circa 2 milioni di ettolitri.
Radeberger Pilsner, premium pilsner di un limpidissimo colore giallo oro (g.a. 4,8%); con 36 unità di amaro. Prima pilsner prodotta in Germania, e forse l’unica a rispettare ancora la ricetta originale, è una delle birre più vendute nel Paese. Con un’effervescenza piuttosto spinta, l’imponente schiuma bianca si rivela fine, compatta, durevole e di buona allacciatura. L’aroma esala intenso, fresco, burroso, con gradevoli odori di malto, fieno, luppolo agrumato, erbe, crosta di pane, nonché richiami floreali che ricordano la camomilla. Il corpo medio ha una consistenza squisitamente acquosa. Il gusto, “sapientemente” luppolizzato, appare un po’ rustico; si snoda comunque pulito, secco, tra accentuate, e non certo sgradevoli, note amare. Nel brioso finale l’amarore sembra voler presto accomiatarsi tra suggestioni erbacee; ma è solo per lasciare a un retrolfatto abbastanza lungo il compito di rinfrescare, dissetare, e perché no, intrigare, con un piccantino tra vegetale e resinoso.