Budweiser Budvar

Tratto da La birra nel mondo, Volume I, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

České Budějovice/Repubblica Ceca
Verso la fine del secolo XIX, all’epoca ovvero dell’Impero asburgico, l’odierna České Budějovice, nel Sud della Boemia, si chiamava Budweis. Un nome tedesco, come tedeschi erano gli oltre 11 mila abitanti che, contro i poco più di 16 mila cechi, si erano accaparrate quasi tutte le cariche più importanti.
La fabbrica di birra più grande era la Samson, fondata nel 1795 da birrai di lingua tedesca e rimasta nelle loro mani. Mentre continuavano a spuntare piccole aziende che proponevano le chiare lager sempre più furoreggianti nella Boemia meridionale.
Correva l’anno 1895, quando un gruppo di nazionalisti cechi decise di dare una risposta adeguata allo strapotere birrario tedesco. Nacque così la Český Akciový Pivovar (“Fabbrica di Birra Ceca per Azioni”). E vide la luce anche una lager destinata a diffondersi presto in tutto il mondo: schiuma corposa, ricco e gradevole aroma di luppolo, gusto bilanciato e deciso, giusto grado di retrolfatto amaro. Alla fine del primo anno di attività ne erano stati venduti 51 mila ettolitri.
La richiesta di mercato non accennava a diminuire. L’azienda ampliò lo stabilimento e fu costante nelle innovazioni tecnologiche, per diventare, alle soglie del primo conflitto mondiale, la più importante birreria della città, con circa 200 mila ettolitri di produzione annua.
Nel 1921 solo 28 delle 80 imprese birrarie che avevano dovuto sospendere l’esercizio furono in grado di riaprire. Tra esse, la Fabbrica di Birra Ceca era una delle più vitali; anzi riattivò subito, quantunque a rilento, il flusso delle esportazioni.
Fu proprio nella piena ripresa degli anni Venti che emerse l’importanza del nome nell’affermazione del prodotto. Nel 1930 fu coniato il marchio Budvar (da Bud del nome originario ceco Budějovický e var di pivovar), registrato anche in tedesco, Budbräu. E, col rilievo assurto a livello internazionale del suo brand, anche la birreria nel 1936 assunse la denominazione Budvar.
Poi arrivò il regime comunista. La Samson e la Budvar, passando sotto il controllo dello Stato, vennero fuse. Intelligentemente però i nuovi governanti consentirono che la maggior parte del prodotto Budvar continuasse a prendere la strada per l’estero. La valuta pregiata che entrava faceva molto comodo, e il congelare limitatamente a un caso il sistema di pianificazione economica non poteva certo essere sentito come un sacrilegio ideologico.
Il crescente successo nelle esportazioni della Budvar portò ad avviare nel 1967 la completa ricostruzione della birreria. Mentre un decreto ministeriale (l’azienda appartiene al Ministero dell’Agricoltura appunto) creava per essa una nuova denominazione, Budweiser Budvar, riprendendo il nome originale della città, famoso in tutto il mondo e quindi troppo importante per l’immagine.
Dopo il 1989 la Samson e la Budweiser Budvar furono separate, e la seconda rimase nelle mani dello Stato. Questa volta però l’incongruenza delle nuove tendenze politiche non era dovuta al dio danaro, secondo il Governo: si trattava di preservare dai colossi stranieri un bene nazionale. Fatto sta che, a differenza di altre fabbriche ceche, la Budweiser Budvar costituisce tuttora una miniera per l’economia del Paese; la voce quindi sempre più insistente di una sua non lontana privatizzazione pare voglia soltanto guadagnar tempo elegantemente.
In ogni modo, pur senza aiuti stranieri, l’azienda è stata abbastanza modernizzata e oggi, per importanza, si trova posizionata al terzo posto nella Repubblica Ceca. Continua a usare i tradizionali recipenti orizzontali per l’immagazzinamento della birra destinata al mercato interno, che esce però dai nuovi fermentatori conici. La premium matura per più di 60 giorni. L’acqua è sempre quella del lago sotterraneo.
La produzione “viaggia a gonfie vele”, con un flusso annuo di circa 1 milione 320 mila ettolitri, di cui il 60% va all’estero, in una sessantina di paesi di tutto il mondo, soprattutto in Germania (dove la Budweiser Budvar risulta il terzo marchio importato) e in Gran Bretagna.
Recentemente la Budweiser Budvar viene distribuita anche in Nuova Zelanda, grazie a un accordo con la Dominion Breweries; nonché negli Stati Uniti, dalla Anheuser-Busch. Infine, dall’inizio del 2007, il partenariato con la Carlsberg consente alla casa ceca di esportare il proprio brand, oltre che in Danimarca, in vari altri paesi europei (quali Svezia, Finlandia, Bulgaria, Serbia, Croazia) e di vendere in casa quello del gruppo danese.
Accanto alla moderna e luminosa fabbrica, l’azienda possiede un pub molto economico e, in centro (nell’ex mercato della carne), la taverna Masne Kramy con elegante hotel a quattro stelle. Mentre gestisce un gruppo di birrerie, tra cui la Strakonice e la Pelhfiimov, sempre in mano statale.
A parte i numerosi premi e riconoscimenti collezionati in patria e all’estero fin dal 1896, la Budweiser Budvar partecipa alle più importanti manifestazioni fieristiche internazionali ed è presente come sponsor in diversi ambiti sportivi (dal motocross all’hockey sul ghiaccio, dal ciclismo al calcio e ai Giochi Olimpici).
Il fatto che la Fabbrica di Birra Ceca commercializzasse il suo prodotto con il marchio Budweiser fuori dall’Europa, e perfino negli Stati Uniti, aveva cominciato a creare grossi problemi di identificazione e immagine alla Anheuser-Busch. Per non parlare della particolare convenienza del prezzo rapportato alla qualità. Le due birre potevano infatti avere in comune nome e sistema di fermentazione; ma per il resto… eh, sì! la differenza era abissale. Sicché già dall’inizio del Novecento i rapporti si erano fatti tesi, senza che i contendenti riuscissero a trovare uno sbocco nell’infinita serie di trattative e di cause legali che ne seguirono.
L’impresa di oltreoceano sosteneva di avere adottato questo marchio, peraltro il primo di birra nazionale registrato nel 1877, quando la Fabbrica di Birra Ceca non era ancora nata.
I cechi ribattevano che Budweiser significava semplicemente “di Budweis”, un termine generico insomma utilizzato per le birre fabbricate a Budweis fin dal 1265, quando la città ottenne il privilegio brassicolo dal suo fondatore, il re boemo Přemysl Otakar II. In tempi più recenti, come tutti gli altri produttori di Budweis, la Samson usava per buona parte delle sue birre il marchio Budweiser (e forse addirittura per le esportazioni negli Stati Uniti). Poi chiaramente si erano dovuti arrendere tutti allo strapotere della Fabbrica di Birra Ceca. Pertanto qualunque birraio di Budweis aveva il diritto di vendere i propri prodotti sotto la denominazione Budweiser.
Con due contratti, stipulati nel 1911 e nel 1939, si cercò di regolamentare lo sfruttamento di questo “benedetto” marchio. La Fabbrica di Birra Ceca (poi Budvar), come la Samson, avrebbe commercializzato negli Stati Uniti le sue premium con il nome Crystal; l’Anheuser-Busch, in alcuni paesi europei (per esempio, la Spagna) dove i cechi erano riusciti a registrare per primi il marchio Budweiser, avrebbe usato l’abbreviazione Bud.
Poi le acque si erano abbastanza calmate nel corso del lungo periodo comunista, anche se l’azienda ceca non aveva mai smesso di esportare in America. Ma, con la forte ripresa della Budweiser Budvar e lo “sbarco” in Europa dell’Anheuser-Busch, la vertenza non tardò a riaprirsi, spostandosi essenzialmente nel nostro continente.
In un primo momento la Anheuser-Busch, visto come erano andate le cose nella Repubblica Ceca per le altre birrerie, contava di risolvere definitivamente allo stesso modo l’annoso problema, intrufolandosi fra i tanti colossi stranieri che bussavano con allettanti proposte di fusioni o altri tipi di accordo. Alla fine dové arrendersi, come tutti, all’irremovibilità del Governo.
Sicché in Europa è venuta a crearsi una situazione diversa da paese a paese. Soltanto la Suprema Corte Svedese si è di recente pronunziata definitivamente a favore della Anheuser-Busch, che può ormai utilizzare in esclusiva su quel territorio i marchi Bud e Budweiser.
Negli altri stati in cui si trova la controversia legale con la casa americana, la Budweiser Budvar per due anni aveva usato il brand Czechvar, creato all’inizio per il mercato nordamericano; poi l’Ufficio per l’Armonizzazione del Mercato Interno (OHIM) dell’Unione Europea respinse l’appello della Aneheuser-Busch contro l’impiego del marchio comunitario Budějovický Budvar. Pertanto la birra viene adesso commercializzata col nome ceco, Budějovický Budvar, in alcune nazioni, quali Svezia, Finlandia, Danimarca, Irlanda, Spagna (comprese le Canarie); con quello tedesco, Budweiser Budvar, nel resto dell’Europa.
Per quanto riguarda il nostro Paese in particolare, fino al 2001 la birra si chiamava Budweiser Budvar. Poi, per un’azione legale della AB InBev, cambiò nome: dal 2002 al 2005, Czechvar; dal 2005 al 2013, Budějovický Budvar. Infine, nel 2013, la Corte di Cassazione pose definitivamente fine alla vertenza: Budweiser vuol dire “birra di Budweis”, quindi la birra aveva diritto a essere importata col marchio i.g.p. Budweiser Budvar; mentre doveva essere rimosso dal registro di marchi registrati il Budweiser americano, perché “idoneo a ingannare il pubblico circa l’ambiente di origine o i pregi del prodotto per il quale il marchio era stato depositato”.
Budweiser Budvar B: Original (Czechvar) 12°, premium lager di colore dorato chiaro (g.a. 5%). Senz’altro l’esempio più classico della tipologia oggi sul mercato, ha ricevuto dall’Unione Europea il marchio di prodotto a Indicazione Geografica Protetta. Ed è considerata, per il suo carattere unico, tra le migliori 10 birre del mondo. Risulta infatti la lager più famosa e maggiormente esportata della Repubblica Ceca. Per gli Stati Uniti prende la denominazione Crystal Lager. Ancora oggi viene definita “la birra dei re della Boemia”, per la predilezione che le riservavano i sovrani del Paese. Questa versione rappresenta la città ceca in tutto il mondo. Considerando l’ottima luppolizzazione e la struttura superiore alla media, potremmo benissimo classificarla come pils; il produttore però la ritiene una lager, in ossequio alla birra di Pilsen, rispetto alla quale è più corposa, più dolce e meno amara. Viene prodotta, secondo antica tradizione, con malto della Boemia e della Moravia, finissimo e aromatico luppolo di Žatec e acqua cristallina a basso contenuto di sodio attinta da un lago sotterraneo. Nonostante l’effervescenza più contenuta rispetto alla media, la schiuma si rivela spessa e persistente. Nei profumi fini, delicati di cereali si esalta l’eleganza erbacea del luppolo. Il corpo è medio, ma di una tessitura estremamente pulita e morbida. Il gusto scorre pieno, con un’equilibrata combinazione di amarore e di dolciastro. Il finale, benché aromatico, non risulta molto amaro. Nel breve retrolfatto si riscontra una netta consistenza dolceamara.
Budweiser Budvar B: Classic Svetlé Výčepní Pivo 10°, lager di colore paglierino chiaro (g.a. 4%); versione più leggera della Budweiser Budvar, destinata al mercato locale e contraddistinta da un’etichetta blu. La carbonazione rientra nella media; la spuma si forma piuttosto bassa, però cremosa e di sufficiente stabilità. L’aroma è di un malto vago, con qualche sentore floreale e di luppolo erbaceo. Dal corpo leggero, di consistenza acquosa, viene fuori un sapore tendenzialmente dolce che però si fa secco verso la fine della corsa. Nel retrolfatto rimangono piacevoli sensazioni, pulite e amarognole.
Budweiser Budvar B: Dark Tmavý Ležák, dunkel di colore marrone scuro, quasi nero (g.a. 4,7%). La schiuma beige, sottile e di buona allacciatura, è gestita da una carbonazione abbastanza vivace. Malto tostato e caramello, caffè e cioccolato, frutti scuri e legno affumicato, luppolo e nocciola, allestiscono un bouquet di elevata intensità, benché la finezza raggiunga a malapena la gradevolezza. Il corpo medio presenta una trama fra acquosa e oleosa. Il gusto attacca con malto dolce e melassa; eroga, verso il centro della lunga corsa, note di lievito, grano e pane nero; chiude con un luppolo solo accennato e di consistenza acida. Il retrolfatto non si dilunga più di tanto nelle sue sensazioni amare da malto bruciato.
Budweiser Budvar B: Free Nealkoholické Pivo, lager analcolica di colore biondo chiaro (g.a. 0,5%). Con una carbonazione abbastanza bassa, la spuma fuoriesce sottile, densa e di scarsa ritenzione. Tanto all’olfatto quanto al palato accusa, sia pure in maniera lieve, i sentori del mosto, con qualche nota di ortica, luppolo terroso, cereali. Il corpo leggero ha una consistenza acquosa. Tutto sommato, per essere un prodotto analcolico, dimostra buon equilibrio gustativo: quel dolciastro che sembra sfumare l’amaro, peraltro indefinito, emanato dal sottofondo di luppolo. La corsa non dura tanto, e sfocia in una secchezza amarognola.
Budweiser Budvar Bud B: (Super Strong), extra strong lager di colore oro chiaro (g.a. 7,5%); una 16% ricca di malto e con 200 giorni di maturazione. L’effervescenza è moderata; la schiuma, minuta, bassa e di rapida dissoluzione. L’aroma si libera con intensi profumi di malto, caramello, agrumi, luppolo fiorito; e labili richiami di miele, alcol, pasta di pane, mela verde. Il corpo, da medio a leggero, ha una consistenza un po’ grassa. Il gusto, piuttosto granuloso, reca una sottile dolcezza, a compensare un certo amarore da luppolo erbaceo, con l’alcol che scalpita verso la fine di una corsa lunga e concitata. Il finale apporta una ventata secca e fruttata. Il retrolfatto si dilunga fin troppo, con impressioni di luppolo vivacizzate da un caldo quanto dolce etanolo.
Pardál Echt Světlý Ležák 11°, lager dorata (g.a. 4,5%); prodotto recente che ha subito riscosso consensi, guadagnando le quote di mercato che s’era prefisse. Presenta una morbida effervescenza media; schiuma a grana minuta ma non così duratura; aroma di malto, con sentori di pane, lievito, miele, caramello, foglie, mosto; corpo sottile di consistenza acquosa; gusto moderatamente dolce che, dopo le note centrali fruttate, esala un amarore da luppolo erbaceo; corto finale quasi anonimo; discreto retrolfatto agrodolce di frutta.