I primi cenni sull’utilizzo esclusivo del luppolo in produzione brassicola risalgono al 736 d.C., nel monastero di Weihenstephan, sede della fabbrica di birra più antica del mondo tra quelle ad oggi ancora attive. In un documento stilato probabilmente tra le sue mura, si legge della presenza di un “giardino di luppolo”. Dalla metà del XII secolo la badessa Hildegard von Bingen, suora e botanica tedesca dell’abbazia di St. Rupert, in Renania, nel suo scritto “Physica Natura” parla di un fiore “dal gusto amaro che, se aggiunto alle bevande ne previene la putrefazione e conferisce loro una durata più lunga”.
.
.
La donna, si riferiva evidentemente al luppolo, pianta rampicante della quale viene utilizzato il fiore per l’amaricatura e l’aromatizzazione della birra. Esistono tuttavia testimonianze ancora antecedenti a queste appena citate, risalenti al popolo dei Goti, intorno al VI secolo a.C., i quali erano soliti preparare una bevanda, simile alla birra come la conosciamo oggi, denominata “Ludi”, aromatizzata con del luppolo selvatico. In territorio anglosassone, l’aggiunta di questo ingrediente alle tradizionali “Ales”, dolci e dalla quasi assoluta predominanza della componente maltata, diede vita ad una seconda categoria di bevande, le “Beers”, che risultavano invece essere più speziate e con una nota amara decisamente più accentuata. Nel resto dell’Europa, la contrapposizione alle birre contenenti il luppolo era invece costituita da quelle realizzate aggiungendo il cosiddetto “gruyt”, un insieme di erbe dal forte potere aromatizzante, tra le quali è bene ricordare il rosmarino selvatico ed il mirto di Brabante.
.
.
Assunse un’importanza tale che si decise di regolamentarne a livello statale sia la produzione, sia la vendita, entrambe concesse solamente a cittadini autorizzati. Anche in queste zone, prese comunque il sopravvento l’utilizzo del luppolo, capace di donare alla birra sia la caratteristica nota amara sia le ricercatissime note aromatiche. La svolta definitiva si ebbe nel 1516, quando Guglielmo di Baviera, fece pubblicare il “Reinheitsgebot” (o “Editto della purezza”), documento ufficiale con il quale il governo bavarese imponeva a chi produceva birra un determinato prezzo di vendita e l’utilizzo esclusivo di ingredienti specifici: malto d’orzo, acqua, e appunto il luppolo.
.
.
In questa circostanza la sua presenza fu ritenuta necessaria in quanto già allora era noto il suo potere conservante ed antiossidante. Questa legge rimase in vigore in tutta la Germania fino al 1992. Con il passare del tempo, le coltivazioni di luppolo conobbero dunque un periodo di grande espansione soprattutto in Paesi dove oggi sono considerate vere e proprie colture tradizionali: ci riferiamo in modo particolare ai già precedentemente citati Germania, Inghilterra, Stati Uniti, Repubblica Ceca, Nuova Zelanda ed Australia. Con l’avvento dell’epoca contemporanea, coincidente con l’esplosione del fenomeno “Craft Brewing”, l’attenzione nella selezione dei luppoli e le loro modalità di impiego seguendo diverse tecniche, più o meno innovative, hanno permesso di riuscire ad estrarne più facilmente le componenti amaricanti ed aromatizzanti. Questo aspetto oggi è spesso messo in evidenza ed utilizzato come leva di marketing dai produttori per tentare di ritagliarsi una considerevole fetta di mercato.