Bock: le birre del caprone

Pensare che il quadrupede possa avere una componente attiva per la produzione della birra, potrebbe destare iniziale curiosità, smarrimento, lasciando poi il posto a sensazione di disgusto mista a dubbi e paura.
Tranquilli.
Nulla di questo animale fa parte degli ingredienti utilizzati per realizzare le Bock ( in tedesco significa “caprone”, e per questo molte marche hanno delle immagini di questi animali sulle etichette delle bottiglie).

Ci troviamo in Germania e più esattamente ad Einbeck, in Bassa Sassonia. Il periodo storico è quello mediovale e la cittadina vive anni di grande fermento (nel suo senso più letterale) grazie ai privilegi destinati ai membri della Lega Anseatica, alleanza che controlla gli scambi commerciali su buona parte dell’Europa meridionale.
Il prodotto maggiormente esportato sono proprio le birre, anzi, ad essere più precisi, la progenitrice delle Bock (che oggi definiamo stile).

 

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Nel 1590 il duca Guglielmo IV ne riprodusse una sua prima versione a Landshute (nord est di Monaco) e di lì a poco spostò la produzione nella più nota Hofbräuhaus nel centro di Monaco, dove una ventina di anni dopo (1612) Elias Pichler -birraio di Einbeck assunto dal casato – unendo le conoscenze sulle caratteristiche dello stile originario alle tecniche produttive bavaresi, mise a punto dopo varie sperimentazioni la prima lager forte di Monaco, ovvero ciò che grossomodo la storia ci consegna oggi nel bicchiere.

Queste birre corpose e forti erano di gradimento al Casato di Wittelsbach, una dinastia orginaria della Baviera che è assurta al rango di famiglia reale europea; considerata la più antica dinastia tedesca tuttora esistente e una delle più antiche di Europa.
Le birre Bock per lungo tempo sono state prodotte per occasioni speciali e consumate dai monaci cattolici in Germania, spesso per festività religiose come Natale, Pasqua o la Quaresima. Durante questo periodo, infatti, ai monaci veniva imposto il digiuno, e per questo motivo le Bock, più nutrienti di una lager più leggera, provvedevano al loro sostentamento. Birre simili venivano prodotte dai monaci per lo stesso motivo in altre zone (ad esempio vedi la birra trappista). Si dice che Martin Lutero abbia bevuto questa birra durante la Dieta di Worms.

Nel XX secolo, queste birre hanno assunto una ingiuriosa e immeritata reputazione; si sosteneva infatti che venissero prodotte con i “fondi” dei processi produttivi precedenti. Questa accusa è del tutto infondata perché gli avanzi dei processi produttivi non sono nuovamente fermentabili. La voce potrebbe essersi diffusa a causa del fatto che alcuni birrifici hanno usato ingredienti di qualità inferiore oppure una grande quantità di additivi nelle loro Bock. Inoltre anche nel tradizionale metodo di produzione della birra non è assolutamente inusuale utilizzare alcuni “fondi” contenenti lievito attivo per cominciare il processo di fermentazione.

Tra i più noti esempi ci sono senza dubbio le doppelbock, versioni (oggi) più alcoliche e corpose dello stile, in origine prodotte dai monaci paolotti (S. Francesco Di Paola) per essere consumate nei periodi dell’anno in cui, per pratica religiosa, era imposto loro il digiuno.
Moltissimi esempi oggi in commercio riportano in etichetta il suffisso –ator, vuoi per tributare la Salvator di Paulaner, cui è legata la storia dello stile, vuoi per sfruttarne la popolarità.
Ritorniamo alle basse fermentazioni, ovvero a ciò che caratterizza le tecnologie produttive di alcuni tra i più noti stili di matrice teutonica.

 

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Complessità olfattiva, maggiore corpo e alcol sintetizzano il tema sensoriale proprio di queste birre, che dovrebbero essere all’incirca così:

SCHIUMA: abbondante, cremosa e persistente di color crema;
ASPETTO: il colore varia in funzione della miscela di malti utilizzati e rientra tra un ramato intenso e un marrone scuro. Limpida;
NASO: Intenso e ampio. I sentori ascrivibili al malto e ai tostati la fanno da padrone. Crosta di pane, miele, caramello, frutta secca e accenni di frutti scuri (maturi, cotti e appassiti) possono caratterizzare lo stile.
IN BOCCA: l’ingresso è dolce, ma ben mitigato dalla buona attenuazione (un sinonimo di secchezza) e dal contributo del luppolo. Il sorso è mediamente corposo e leggermente caldo (6.3 – 7.2%), non stucchevole.

Il bicchiere ideale: Coppa.
Il calice a coppa è il bicchiere migliore per bere la Bock, perché la sua forma emisferica abbassa progressivamente la schiuma, consentendo all’aroma della birra di sprigionarsi più facilmente. Allo stesso tempo i profumi, molto spesso cupi e austeri verranno esaltati grazie all’ampia apertura della sommità del bicchiere.

Gli abbinamenti:
Le Bock, con la loro maltatura e l’alcolicità più spiccata, sono perfette per accompagnare i gusti più intensi e saporiti della cucina marinara. Il forte sentore di brace che caratterizza il pesce, i crostacei e i molluschi nella grigliata mista, infatti, richiede una birra dai caratteri decisi ma che rispetti allo stesso tempo la leggerezza della materia prima come, ad esempio, una Bock chiara. Le versioni più ambrate di questa tipologia trovano nella sapidità del baccalà il loro abbinamento ideale: sia esso preparato alla vicentina, fritto in pastella (magari fatta con la stessa birra)o nella classica brandade. Inoltre le Bock, specie nella versione chiara, si sposano benissimo con dei tagliolini allo scoglio con pomodoro. Un ottimo matrimonio per queste birre, poi, può essere senz’altro quello con ricette classiche come la pasta e fagioli o la pasta e ceci. Sempre in questa famiglia di birre, la versione più alcolica e corposa (Dopplebock) si sposa in modo interessante con un formaggio saporito, dall’odore intenso e dalla piacevole piccantezza.