Moor Beer Company

Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Bristol/Inghilterra
Nel 1996 Freddy Walker fondò la Moor Beer Company negli edifici di un ex caseificio sperduto nella campagna di Pitney (zona Levels and Moors del Somerset).
Nonostante la bontà dei prodotti, il forte calo delle vendite portò, nel 2005, alla chiusura della fabbrica.
Nel 2007 l’azienda fu rilevata da Justin Hawke, insieme alla moglie, Maryann. Nato a San Francisco (in California), Justin risiedeva in Inghilterra da 10 anni. Aveva ereditato dal padre la passione della birra e iniziato, fin dal 1995, l’homebrewing. Aveva anche trascorso quattro anni in Germania, nell’esercito americano; ma le sue preferenze andavano alle real ale. Non si fece quindi scappare l’occasione per mettere su un birrificio proprio.
La nuova attività fu subito improntata a un radicale rinnovamento, tramite la fusione della tradizione inglese con la Craft Beer Revolution americana. E, lentamente, le classiche ale britanniche della precedente gestione venivano realizzate con ricette più moderne, utilizzando luppoli e lieviti americani.
Infine, nel 2014, l’azienda si trasferì a Bristol, nel sobborgo industriale di St. Phillips, aprendo anche la Brewery Tap.
Oggi la gamma Moor è costituita da molte session beer (con gradazione alcolica inferiore al 4,5%), soprattutto golden ale: poco alcol dunque, ma grande intensità nell’aroma e nel gusto.
Moor Revival, ordinary bitter ale di colore dorato e dall’aspetto torbido (g.a. 4%, in botte 3,8%). La carbonazione è piana; la schiuma bianca che si forma, sottile, cremosa, tenace. L’olfatto possiede freschezza, eleganza, intensità, nei suoi profumi erbacei e agrumati, di malto e luppolo fruttato, di terra e caramello. Il corpo si presenta leggero, e di consistenza un po’ acquosa. Dopo l’imbocco dolce di mandarino, il gusto prende note via via sempre più amare, dal floreale all’erbaceo, passando per lo speziato. Nel finale l’amaro diventa addirittura tagliente; ma si attenua in certo qual modo nel retrolfatto, grazie all’intervento di suggestioni secche, vegetali e resinose, che richiamano vagamento il malto.
Moor JJJ IPA, imperial IPA di colore ambrato carico e dall’aspetto velato (g.a. 9.5%, in botte 9%); un prodotto invernale. Il nome deriva dalle iniziali di: Justin Hawke (proprietario della Moor), James e Josh del pub Queen’s Arms di Corton Denham (un villaggio del South Somerset). Tre amanti delle imperial IPA americane, che lamentano la diffusione ancora molto scarsa della tipologia nel Regno Unito. Mentre sono numerosi i riconoscimenti che questa birra ha ottenuto, sia in patria che all’estero, dal 2008 a oggi. La carbonazione è quasi piatta; la schiuma ocra che si forma, sottile, cremosa, abbastanza durevole. L’aroma si esprime tenue, ma pulito e persistente, a base di frutta tropicale, agrumi, malto, pino, bacche, luppolo fruttato. Il corpo, pieno e vigoroso, ha una trama oleosa leggermente appiccicosa. Il gusto si snoda morbido, asciutto, ricco di frutta tropicale e frutti di bosco, tenuto in perfetto equilibrio per l’intera corsa dall’amarore del luppolo erbaceo, e infervorato dal calore alcolico. Nel finale l’amaro s’intensifica, prendendo una connotazione più spiccatamente vegetale e resinosa. Nella lunga persistenza retrolfattiva il carico di amaro residuo si attenua abbastanza, tra suggestioni floreali e acide, anche di malto e frutta matura.
Moor Old Freddy Walker, porter di colore nero come la pece e dall’aspetto opaco (g.a. 7,3%, in bottiglia 7,4%). L’etichetta la definisce invece una old ale che sembra “un pudding di Natale liquido”. Fu elaborata per la prima volta nel 1997. A sua volta, il nome si ispira a un vecchio ex marinaio che viveva nel piccolo paese dove nacque la Moor. Con la carbonazione quasi piana, la schiuma beige fuoriesce minuta, cremosa, stabile. L’aroma si esprime piuttosto tenue; ma ci sono tutti i suoi componenti tipici, dal caramello al malto tostato, dal caffè al cioccolato, dalla melassa alla liquirizia, dalla vaniglia all’uva passa, dalle bcche scure a una leggera acidità fruttata. Il corpo medio presenta una trama spiccatamente cremosa. Quasi tutti gli elementi avvertiti al naso si ritrovano nel gusto, creando un sapore pulito, intenso, coinvolgente, in un equilibrio a dir poco perfetto, tra cioccolato, frutta candita, tostature; mentre l’alcol si limita a riscaldare la bevuta, senza però esporsi più di tanto. È nel finale invece che si avverte tutto il potenziale dell’etanolo, sotto forma di frutta sotto spirito, piacevole, cordiale. Sensazioni alquanto amare di tostature animano la lunga e secca persistenza retrolfattiva. Invecchiata in botte e quindi imbottigliata insieme a un lotto fresco, questa birra diventa Moor Fusion dai vintage verticali.
Moor Hoppines, american IPA di colore dorato con sfumature arancio e dall’aspetto piuttosto velato (g.a. 6,5%); l’unico esemplare tipologico della Moor, che ha peraltro fatto incetta di premi, anche se soprattutto nei concorsi locali della CAMRA. La carbonazione è alquanto scarsa; la spuma biancastra che si genera, enorme, cremosa, tenace. L’aroma si apre molto piacevole, elegante, pulito, a base di frutti gialli e tropicali, agrumi, erica, terra, luppolo floreale, erbe, aghi di pino, cereali, bacche acide. Il corpo medio presenta una trama oleosa, pressoché untuosa. Il gusto propone un accattivante mix di cereali e luppolo agrumato, con amaro contenuto e un ottimo apporto di calore alcolico. Con una finitura secca e acida, il retrolfatto sa ben esprimere le sue intense suggestioni di pompelmo, resina, anche blande di pepe.