Heineken Italia

Tratto da La birra nel mondo, Volume II, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Sesto San Giovanni/Italia
L’espansione sul nostro territorio del colosso olandese ebbe inizio nel 1974, con l’acquisizione, unitamente alla Whitbread, della Dreher e si concluse nel 1996. Nello stesso 1996, dalla generale riorganizzazione produttiva degli stabilimenti assorbiti, con l’inevitabile sacrificio di alcuni, nacque la Heineken Italia, divisione italiana della Heineken N.V. Gli ultimi assestamenti risalgono al 2006 (cessione della fabbrica di Pedavena) e al 2008 (ritorno alla famiglia Faranda dello stabilimento di Messina).
C’è da ricordare però che, proprio nell’anno della sua costituzione, la Heineken Italia finì tra le “grinfie” dell’Antitrust (l’Autorità garante della concorrenza e del mercato). Infatti la Heineken N.V., l’anno precedente, aveva rilevato dalla Interbrew la sua filiale italiana con i noti marchi, tra cui Stella Artois e Von Wunster; adesso, nel mese di febbraio, sempre dalla Interbrew, aveva acquistato il gruppo canadese John Labatt, proprietario della Birra Moretti e di tutti i suoi marchi. Pertanto la Heineken Italia, che già aveva altri marchi (come Dreher, Heineken, Henninger, Amstel, Loburg), aveva assunto una posizione dominante nel mercato della birra in Italia (il 38%).
Nel mese di luglio 1996, con proprio provvedimento, l’Antistrust autorizzò l’operazione di concentrazione tra le società Heineken Italia e Birra Moretti, a condizione che la prima dismettesse uno stabilimento con la capacità produttiva pari a circa il 5% della produzione nazionale e assicurasse per i primi anni di avviamento uno sbocco commerciale certo per tale produzione. Veniva così sacrificato, l’anno successivo, lo stabilimento di San Giorgio di Nogaro.
Oggi la Heinken Italia, con sede in provincia di Milano, controlla sei aziende distinte, con quattro unità produttive: Comun Nuovo (Bergamo), Pollein (Aosta), Assemini (Cagliari), Massafra (Taranto). Le birre in lattina escono dallo stabilimento di Pollein; dagli altri tre, quelle in bottiglia. Inoltre la società ha circa 2 mila dipendenti, a parte i quasi mille della Partesa, azienda di distribuzione creata, nel proprio ambito, nel 1989.
Primo produttore in Italia, con poco più di 5 milioni di ettolitri annui e una quota di mercato intorno al 28%, propone oltre 30 birre, tra lager tradizionali, chiare e leggere, per il mercato di massa; alcune specialità e birre regionali.
Fabbrica anche i principali marchi del gruppo (Heineken, Amstel, Amstel Radler, Gasoline Strong, Golden Fire, Golden Fire Strong, McFarland, McFarland Strong, Murphy’s, Murph’ys Red).
Dopo il passaggio della Peroni alla SAB Miller, e fino a qualche anno fa, produceva anche l’americana Budweiser. Esauritosi inoltre l’accordo con la Interbrew per la distribuzione delle sue marche, integrò il portafoglio prodotti importando e commercializzando birre del proprio gruppo e di altre aziende.
Con la spartizione infine della Scottish & Newcastle del 2008, la Dibevit Import, società del gruppo Heineken (nata nel 2003 dalla fusione tra la Civitelli Import e la Dibevit e specializzata nell’importazione e commercializzazione di birre speciali), aumentò il portafoglio con i prodotti dell’ex colosso britannico.
Un catalogo dunque in grado di soddisfare il gusto di qualsiasi consumatore, e con il supporto di una sottile strategia di marketing per la promozione attiva sia delle birre prodotte che di quelle distribuite.
Centinaia di locali fanno con le loro insegne riferimento diretto, come organizzazione e amministrazione, a Heineken. Tra essi:
Birreria Classica, birreria tradizionale
Brasserie de l’Europe, birreria mitteleuropea
Dadaumpa, birreria pizzeria anni Sessanta
Gasoline Road Bar, west american road bar
Gasoline Sport Stadium, birreria nordamericana sportiva
Heineken Green Stage, birreria internazionale
Heineken Jammin’ Club, disco-bar birreria
Heineken Summer Club, estivo trendy
The Murphy’s Pub, irish pub
Beer Corner, birreria fast food
Le lounge di grandi alberghi, quali la Diana dello Sheraton Diana Majestic di Milano o la Doney del Westin Excelsior di Roma, sono personalizzate con gran gusto dai colori H Club.
Non risulta da meno la presenza nella sponsorizzazione, tra l’altro, di grandi eventi musicali, come le edizioni estive e invernali di Umbria Jazz (dal 2005 passate alla Pilsner Urquell). La manifestazione, con la prima edizione avvenuta nel 1973, dura generalmente una decina di giorni e si tiene quasi interamente nel centro storico di Perugia, dove si danno appuntamento migliaia di appassionati provenienti da tutto il mondo. Ancora, l’annuale concerto estivo Jammin’ Music Festival (durante il quale le più grandi star della musica pop e rock intrattengono migliaia di giovani), risalente al 1998 e nel 2008 svoltosi nel parco San Giuliano di Venezia.
In ottemperanza poi all’impegno distintivo che da sempre porta avanti la casa madre nel preservare sì la qualità e il piacere, ma anche il rispetto per l’individuo, per la società e per l’ambiente, dal 2004 la Heineken Italia cominciò a mandare in onda quella che può essere senz’altro considerata la prima campagna pubblicitaria nel nostro Paese per la promozione del consumo responsabile di bevande alcoliche, specie da parte di chi guida: “Chi beve e guida, è un pericolo anche per gli altri. Pensaci”.
Dal momento infine che in Italia non esiste una cultura birraria radicata, la Heineken ha creato la figura del beer culture manager, responsabile a livello nazionale della formazione birraria. Questo manager organizza tutte le attività di diffusione della cultura birraria, con corsi di formazione a più livelli, dalle corrette tecniche di spillatura al servizio a regola d’arte, dalla conoscenza dei prodotti, degli stili e delle provenienze geografiche ai suggerimenti per gli abbinamenti ideali con la birra.
Birra Moretti Ricetta Originale, birra di colore paglierino, che si pone al limite tra una lager e una pilsener (g.a. 4,6%). È il prodotto di punta della ex Moretti, che risale al 1859 e viene presentato con questo semplice nome. In occasione del 150° anniversario la confezione assunse un nuovo look più deciso: bottiglia long neck, etichetta ovale, nome del brand su due righe. Preparata con malto pilsner e fiocchi di mais, aromatizzata con luppolo tedesco e trattata con metodo lager a cottura doppia, rivela chiaramente l’influenza subita dalle helles. L’effervescenza decisa produce una schiuma sottile e persistente. L’aroma si offre delicato di malto con fievoli sentori di luppolo. Il corpo risulta leggero, morbido e fresco. Il gusto moderatamente luppolizzato e secco porta, per le crescenti note amare, a un finale da pilsner. Nella corta persistenza retrolfattiva non sono così distinguibili le suggestioni di luppolo, malto e cereali cotti. In definitiva, si tratta di un prodotto spumeggiante, piacevolmente amaro e fresco.
Birra Moretti Baffo d’Oro, premium lager di colore oro vivo dai riflessi ramati (g.a. 4,8%); prodotta con malti primaverili italiani. Lanciata sul mercato nel 1988 per celebrare un eccezionale raccolto di orzo, è diventata la prima birra italiana prodotta interamente grazie all’energia del sole. Non è cosa da poco considerando che ogni anno ne vengono prodotti migliaia e migliaia di ettolitri. Traguardo raggiunto grazie ai pannelli fotovoltaici installati sia nello stabilimento di Comun Nuovo sia in quello di Massafra. La luppolizzazione è affidata all’aromatico Spalt tedesco. Prodotta con acqua povera di sali minerali, risulta appagante e di ottima bevibilità. Il nome è un chiaro riferimento al tradizionale baffone presente sulle etichette della Moretti. La spuma fine, consistente, emana delicati sentori di malto e di luppolo con accenni di vaniglia. L’aroma è intenso, di cereale e tostatura leggera. Dopo un inizio alquanto dolce, emerge gradatamente il sottile amaro del luppolo tedesco, e stabilisce un sufficiente equilibrio gustativo. Il finale, dolceamaro, si stempera in un lento retrolfatto che ricorda il malto, la farina di cereali, la crosta di pane.
Birra Moretti La Rossa, strong lager di colore ambrato scuro con riflessi rossastri (g.a. 7,2%). Elaborata ancora in stile viennese, con malto brunito, risulta, in Italia, una delle migliori birre e, tra le rosse, sicuramente quella con maggior carattere. L’effervescenza è moderata; la spuma, fitta, cremosa e durevole. L’olfatto appare attraente, e d’intensità molto elevata: il malto delicatamente torrefatto esala, senza sovrastarle, tra note di caramello, miele, caffè. Il corpo strutturato si accosta soffice, frizzante, caloroso, al palato. Il gusto defluisce pieno e vivace, con debole orientamento al dolce che l’ottima luppolizzazione equilibra tramite un “sapiente” amarore. Il finale, di estrema pulizia, propone sensazioni asciutte e speziate. Caramello, cioccolato, caffè e frutta rossa articolano la ricchezza retrolfattiva dalla discreta persistenza.
Birra Moretti Doppio Malto, doppio malto, a fermentazione alta, di colore giallo oro e dall’aspetto scintillante (g.a. 7%); con aggiunta di malto di frumento. Fu lanciata nel 2003. La spuma mostra tenuta e aderenza. La finezza olfattiva è attraente, con penetranti e durevoli aromi fruttati, floreali e di caramello. Il corpo esibisce ottima tessitura. Il gusto, nella sua pienezza dolcemente segnata dal malto, si accosta con garbo al palato, evolvendosi però presto in una consistenza asciutta di estrema pulizia. Il luppolo, anche se percettibile per l’intera durata della corsa, sembra rimanga alla finestra: non è, questo, un prodotto per il suo amarore.
Birra Moretti Grand Cru, la birra raffinata del 150° anniversario della Moretti (2009): un’ambrata di fermentazione alta con rifermentazione in bottiglia che conferisce il caratteristico bouquet intenso (g.a. 6,8%). Viene prodotta in Belgio, dalla Affligem. L’elegante confezione di questa speciale reca il tappo di sughero assicurato dalla gabbietta metallica. La spuma trabocca cremosa e tenace. Profumi fruttati si mettono in risalto davanti a freschi sentori floreali. Il palato ostenta un pregevole equilibrio gustativo nella vasta gamma di sapori: dal cioccolato al caffè, dal pepe alla frutta esotica. Non da meno, il retrolfatto, nella sua lunga persistenza, fa dono di deliziose suggestioni complesse e cordiali.
Birra Moretti Zero, lager analcolica di colore giallo oro spento (g.a. 0,5%); immessa in commercio nel 2006. L’alcol viene eliminato tramite vaporizzazione sottovuoto al termine del processo produttivo, in modo da preservare l’aromaticità del sapore. Vicina, per il profilo organolettico, alla lager più tradizionale, si rivolge ai giovani, ai guidatori, a chi è attento alle calorie. Con una media effervescenza, la schiuma si alza compatta e resistente. Nell’elevata intensità olfattiva eccellono i profumi erbacei del luppolo che equilibrano quelli dolci del malto. Il corpo è leggero, ma non insignificante: quello di una bevanda piacevole e dissetante per chi voglia solo eludere gli effetti dell’alcol. Al palato si nota subito l’orientamento all’acido; verso il finale sbuca un moderato amarore che permane anche nel retrolfatto.
Birra Moretti Sans Souci Export, lager in stile dortmunder di colore paglierino con riflessi dorati (g.a. 5,6%). Porta il nome, che vuol dire “senza pensieri”, dello yacht di un membro della famiglia Moretti. È stata tra le protagoniste del rilancio delle birre italiane negli ultimi anni. L’effervescenza è media; la spuma, generosa e sottile, ma non molto resistente. La gradevole finezza olfattiva si propone a base di cereali e pasta di pane, con labili sentori di lievito. Il corpo possiede buona struttura, fluidità ed equilibrio. Il sapore di malto riceve dal luppolo la giusta dose di secchezza. Nel retrolfatto rimane una grata suggestione amarognola.
Birra Moretti Sans Souci Ice, ice beer di colore paglierino debole (g.a. 5%). Viene prodotta con un particolare metodo di raffreddamento prima della maturazione per renderla leggera e più facilmente digeribile. Consigliata a chi si avvicina per la prima volta alla birra, è anche un ottimo dissetante estivo. L’effervescenza moderata alimenta una schiuma abbastanza fine, aderente e di media tenuta. Il bouquet offre un tenue ma pulito malto. Il corpo leggero sembra non essere sufficientemente morbido; mantiene comunque il fresco gusto di malto con tendenza all’asciutto, piacevole e appetitoso. La breve persistenza retrolfattiva emana una fragrante impressione di frutta fresca.
Nel 2015 la Moretti lanciò sul mercato sei nuove referenze: altre due radler (Gazzosa e Chinotto) e quattro facenti parte della linea Regionali.
Radler
Sono bevande leggere (g.a. 2%) a base di birra, con funzione d’uso specificatamente dissetante, specie per l’estate (la prima e la terza). Si presentano in una bottiglia dal nuovo design che racconta una storia italiana dal sapore vintage, anni Cinquanta.
Birra Moretti Radler Limone, di colore giallo paglierino, lanciata nel 2014. Al 45% di birra Moretti viene aggiunto succo di limoni siciliani. Il gusto è rotondo, lievemente aspro e con forte potere rinfrescante.
Birra Moretti Radler Chinotto, di colore ambrato. Unisce birra e succo dei pregiati chinotti di Savona. Il gusto, leggermente amaro, si stempera in un morbido retrolfatto particolarmente fresco e delicato.
Birra Moretti Radler Gazzosa, di colore giallo paglierino. È il connubio tradizionale di birra e gazzosa aromatizzato con scorza di limoni calabresi che conferiscono un gusto agro straordinariamente rinfrescante.
Regionali
Prodotte nell’anno di Expo Milano, puntano sulla riscoperta e celebrazione delle peculiarità del territorio. Sono quindi ispirate da un ingrediente tipico delle quattro regioni italiane che conferisce un carattere distintivo a ognuna di esse.
Birra Moretti alla Friulana, lager di colore paglierino (g.a. 5,9%); con utilizzo della mela renetta. Unisce al gradevole olfatto floreale la raffinatezza di un gusto leggermente aromatico nella sua freschezza.
Birra Moretti alla Piemontese, lager di colore oro antico carico con qualche riflesso ambrato (g.a. 5,5%); con utilizzo di mirtillo rosso della valle del Sangone e riso d.o.p. sant’Andrea (nella misura del 25%). Al naso si mettono in evidenza profumi di erbe aromatiche con accenni al mirtillo e ai cereali. In bocca, un corpo rotondo sostiene il gusto impresso dal caramello che chiude la corsa con una rinfrescante punta di acidità.
Birra Moretti alla Toscana, lager di colore miele intenso (g.a. 5,5%); con utilizzo di orzo della Maremma. L’olfatto si esprime con i tipici profumi di castagna, impreziositi da richiami di erbe secche e aghi di pino. Il sapore, pieno, deciso, reca una piacevole nota amarognola.
Birra Moretti alla Siciliana, lager di colore oro e dall’aspetto limpido (g.a. 5,8%); aromatizzata col fiore di zagara che ammorbidisce il gusto con una punta di agrume e apporta all’olfatto intensi e gradevoli profumi floreali.
Dreher, lager di colore giallo paglierino acceso (g.a. 4,7%). Birra base della ex Dreher, si presenta appena più scura e aromatica rispetto alla media delle comuni lager italiane. Con una media effervescenza, l’attraente corona di spuma candida si rivela sottile e tenace. L’aroma emette profumi di luppolo non così forti ma puliti. Il corpo, tra leggero e rotondo, possiede una notevole fluidità. Al palato, l’amaro misurato del luppolo prevale sulle fievoli note di malto. Il finale non è molto lungo, dopo una corsa peraltro breve. Anche il retrolfatto accusa una corta persistenza, tra sensazioni amarognole. Siamo, in ogni modo, davanti a un prodotto intrigante che si lascia bere facilmente e disseta con la sua fresca leggerezza.
Le tre radler per celebrare l’estate 2015 si presentarono con un look tutto nuovo e colorato.
Dreher Lemon Radler, la tradizionale radler dorata di stampo bavarese (g.a. 2%); costituita dal 40% di birra Dreher e succo di limone. Fu lanciata nel 2013.
Dreher Lemon Radler 0.0%, versione della precedente assolutamente analcolica; lanciata nel 2014.
Dreher Pompelmo Radler, radler rosata (g.a. 2%); nata, nel 2015, dall’incrocio tra birra Dreher e succo di pompelmo. Caratterizzata dal gusto di pompelmo appunto, si è rivelata leggera e doppiamente rinfrescante.
Von Wunster, lager di colore paglierino con riflessi dorati (g.a. 4,5%). L’effervescenza moderata sviluppa una spuma a grana molto minuta, aderente ma non così stabile. L’aroma di malto si espande tenue e fresco. Il corpo accusa un certo orientamento allo scarno. Il gusto, misuratamente amaro, compie una corsa abbastanza veloce che termina languida e quasi neutra.
Von Wunster Analcolica, versione analcolica della precedente.
Prinz, tradizionale light lager di colore paglierino slavato (g.a. 3,5%). Destinata a chi non ami le birre corpose, è soprattutto una bevanda rinfrescante. La schiuma, a grana molto sottile, non appare di lunga persistenza. L’aroma è di cereali non sottoposti a maltaggio. Il corpo, fresco e scorrevole, tende allo scarno. Con una luppolizzazione appena percettibile, il gusto compie amabilmente la breve corsa per accomiatarsi in sordina, senza infamia e senza lode.
Ichnusa, standard lager di colore dorato pallido (g.a. 4,7%); prodotto regionale, distribuito e consumato esclusivamente in Sardegna. Viene realizzata con le acque delle montagne del parco naturale Gutturu Mannu e una percentuale di mais. Con una media effervescenza, la spuma, a grana molto minuta, si alza compatta, tenace. Il tenue aroma di luppolo reca qualche vago sentore di malto e di mela verde. Il corpo leggero si accosta risoluto, asciutto, al palato. Un amaro misurato copre l’orientamento al dolce del cereale in una corsa alquanto rapida ma dal lungo finale. Nella corta persistenza retrolfattiva si fa valere l’amaricante, senza però soffocare le fievoli suggestioni erbacee e di cereale.
Ichnusa Speciale, lager speciale di colore giallo paglierino chiaro; realizzata nel 2002 in occasione del 90° anniversario della fondazione dell’azienda. È la versione con gradazione alcolica più alta (5,6%) di quella classica e con in più una particolare selezione di luppoli. L’effervescenza è moderata; la schiuma, sottile e persistente. L’aroma, gradevole ma di scarsa intensità, esalta un buon luppolo tra gli odori fruttati. Nel corpo, rotondo e morbido, opera un gusto “sapientemente” guidato dall’amaro durante la corsa che si snoda su solida base di malto. Una sensazione dolceamara, secca e pulita, allieta il retrolfatto.
Ichnusa Cruda, lager cruda di colore dorato (g.a. 4,9%); la birra del centenario, creata nel 2012 appunto. Viene microfiltrata con un sistema che rende stabili per sei mesi le proprietà organolettiche. La spuma sbocca sottile, con apprezzabile solidità e aderenza. Al naso si sprigiona un luppolo molto fine e persistente. Il corpo è leggero, ma intenso e vivace. Rispetto alla versione classica, presenta un gusto più intenso e leggermente più amaro. Comunque si tratta di un sapore, sempre delicatamente segnato dal luppolo, che si snoda con un amarore gradevole lasciando in bocca sensazioni asciutte e pulite.
Ichnusa Radler, radler di colore giallo paglierino (g.a. 2%); ottenuta da un mix di birra Ichnusa al 40% e succo si limone, ma anche di arancia, lime e acerola. È destinata esclusivamente alla Sardegna. Con un’effervescenza moderata, la spuma sgorga compatta e aderente. L’aroma fruttato risente l’asprezza degli agrumi. Il corpo leggero asseconda un gusto soffice, pulito, con un rinfrescante tocco di acidità.
La Spirtu invece, lager chiara aromatizzata al mirto (g.a. 5%), un’altra specialità della Ichnusa, lanciata nel 2006, uscì, dopo un anno, fuori produzione per non aver incontrato il favore dei consumatori.
Messina, altra lager regionale di colore dorato (g.a. 4,7%); commercializzata soltanto nell’isola di origine. Con un’effervescenza decisa, la spuma sgorga fine e compatta, tenace e aderente. Animati profumi erbacei allietano l’olfatto con la loro invitante freschezza. La leggerezza del corpo favorisce un gusto di cereali che a fine corsa prende una consistenza amara ma piacevole di luppolo. Il retrolfatto esala impressioni asciutte piuttosto astringenti.
Moretti/Udine
Il fondatore, Luigi Moretti I, nacque nel 1822 a Nespoledo di Lestizza, un paese di campagna in provincia di Udine, quando il Friuli faceva ancora parte dell’Impero asburgico. Per tradizione familiare, si occupava del commercio all’ingrosso di granaglie. Dopo l’acquisto di un vasto terreno a Udine, appena fuori Porta Venezia (la più orientale delle 12 inserite nelle trecentesche mura cittadine), estese il commercio a vino, olio e birra d’importazione.
Con la crescente richiesta di birra, Luigi, allora trentasettenne, decise di costruire uno stabilimento di produzione per porre fine alle complesse importazioni dall’Austria. Nel 1859 nasceva così la Fabbrica di Birra e Ghiaccio. Lo stabilimento aveva una capacità produttiva annua di 2500 ettolitri, il consumo previsto per Udine e provincia. Ma, intorno, una vasta area di terreno assicurava eventuali ampliamenti futuri. Mentre il posto offriva la possibilità di estrarre dal sottosuolo, tramite pozzi profondi fino a 100 metri, un’acqua a bassissimo tasso di durezza.
Nel 1860 vide la luce la prima birra; a fine anno, ne erano stati venduti 900 ettolitri. Da allora per la Moretti fu un’espansione continua, anche perché, rimasto vedovo ben presto della prima moglie, Luisa Moretti, Luigi sposò Anna Muratti, di facoltosa famiglia triestina, che contribuì decisamente al finanziamento del progressivo sviluppo dell’attività.
Poi arrivò il primo conflitto mondiale a bloccare la produzione. Come se non bastasse, nel 1916 morì prematuramente il figlio di Luigi I, ovvero Luigi II, che lasciò unica erede la figlia Luisa, ancora piccola.
Luisa fu pertanto affidata a un tutore; mentre dell’azienda, dal 1916 al 1933, si occupò Ugo Omet, valente giovane funzionario della Banca del Friuli che Luigi II aveva assunto pochi anni prima. E Ugo Omet, con le sue straordinarie doti manageriali, curò la ricostruzione e il riavvio della fabbrica, gravemente danneggiata dalla guerra, riuscì a triplicare le vendite e a impiegare i cospicui utili anche in importanti investimenti immobiliari. Insomma, la produzione, che nel 1920 aveva ripreso a pieno ritmo, l’anno successivo fiorò i 32 mila ettolitri. Nel 1922 la fontana di ghisa nella fabbrica fu sostituita da una pietra, a perenne ricordo dell’importanza dell’acqua per la produzione di birra.
Nel 1932 Luisa sposò Menelao (“Lao”) Menazzi, un dipendente dell’azienda, e la famiglia assunse il doppio cognome Menazzi Moretti. Nacquero due figlie e Luigi III.
Lao, inseritosi nell’azienda, ottenne dalla moglie una procura generale incondizionata. Sotto la sua guida la Fabbrica uscì indenne dalle traversie della seconda guerra mondiale; ma, seguendo una politica aziendale ben precisa, si limitò al rinnovamento di impianti e attrezzature dettato da esigenze produttive e dall’evoluzione tecnologica.
Solo nel 1968 Lao si decise a costruire un nuovo stabilimento di produzione a Popoli, in provincia di Pescara, peraltro ceduto successivamente alla Dreher.
E, proprio a causa di tutta una serie di errori e di valutazioni sbagliate, nel 1977 emersero le gravi e preoccupanti condizioni in cui versava l’azienda. A quel punto, Luisa prese il coraggio a due mani e affidò la conduzione dell’azienda al figlio, Luigi III; mentre al marito rimaneva la semplice carica di presidente onorario.
Ebbe così inizio un faticoso riassetto, che, nel 1992, ovvero un anno dopo che era stato raggiunto lo storico traguardo di un milione di ettolitri, si concluse con la chiusura della fabbrica di Udine e il trasferimento della produzione nella nuova sede di San Giorgio di Nogaro. Mentre Luigi andava prendendo coscienza, in condizioni sempre più critiche, dell’impossibilità di portare avanti l’azienda da solo.
Nel 1994 subentrò nel capitale sociale la canadese Labatt, a sua volta, rilevata l’anno successivo dalla Interbrew che, nel 1996, cedette la società friulana al gruppo Heineken Italia. Intanto, nel 1995, la Moretti aveva lanciato una birra rivoluzionaria, la San Souci Ice, ottenuta con una nuova tecnica messa a punto dalla Labatt nel 1993, l’Ice Brewing Process.
La Moretti continua a produrre birre di prestigio che hanno un notevole successo anche all’estero, e per più di una ragione. Quando infatti la maggior parte dei concorrenti passavano a cuor leggero alle lager chiare, essa rimase ferma sulle proprie posizioni mantenendo alta la qualità dei tipici prodotti in stile tedesco.
Come non è da sottovalutare la particolare attenzione per la pubblicità che l’azienda ebbe fin dall’inizio, sapendo sfruttare a meraviglia gli scarsi mezzi allora disponibili: cartelli realizzati con felice intuito nella scelta dei motivi e della loro presentazione grafica.
All’epoca della guerra in Libia, quando si cominciò a parlare di “moro”, la Moretti non tardò ad alterare questo termine facendo del plurale moretti i due negretti che illustravano il suo nome. Abbinò quindi i moretti al pugilato che si diffondeva a macchia d’olio e… il gioco era bell’e fatto. E l’attuale marchio? Questa, fu una geniale trovata di Lao Menazzi Moretti. Era il 1942, e Lao fu attratto da un cliente con un bel paio di baffi e il cappello di feltro che, seduto a un tavolino della trattoria Boschetti di Tricesimo, soffiava via la schiuma dal boccale di birra. Era insomma il bevitore che la Moretti cercava: un personaggio schietto, autentico.
Lao si avvicinò e gli chiese il permesso di fotografarlo nonché cosa volesse in cambio. “Mi dia da bere e a me basta”, fu la risposta dello sconosciuto. Solo dopo la guerra però comparve il cartellone pubblicitario, realizzato da Segala, noto pittore-cartellonista del tempo, su descrizione dei colori originali dell’abbigliamento fornita da Lao. Oggi questo personaggio, aggiornato con i tempi, viene sfruttato più che mai per pubblicizzare la birra Moretti; la televisione ne dà addirittura la versione animata. Però, quando il cartellone fu consegnato ai rivenditori, piovvero innumerevoli proteste in quanto molte persone credettero di riconoscersi nel bevitore raffiguato.
Ma Luigi Menazzi Moretti, ovvero Luigi III, in un libro sulle vicende della famiglia, e quindi dell’azienda, scritto in forma di intervista con Mario Blasoni, storico capocronista del quotidiano friulano Messaggero Veneto, ne dà una versione diversa. Dunque, agli inizi degli anni Cinquanta, in occasione di un viaggio in Germania, Lao s’imbatté in un’immagine pubblicitaria che rappresentava un tipico bevitore bavarese. Se ne procurò un esemplare e incaricò il professor Segala di rimaneggare l’immagine, apportando modifiche sostanziali: corporatura robusta, baffi spioventi al posto di quelli con sego alla Kaiser e cappello in testa, affinché assumesse la connotazione di un tipico friulano.
Altro motivo, non certo di minore importanza per il successo della Moretti, è avere alle spalle un gruppo che domina il mercato internazionale e non certo avaro quando c’è da perseguire uno scopo proficuo. Ecco quindi l’azienda friulana a sponsorizzare Inter, Juventus, Napoli; a istituire il famoso triangolare di calcio, Trofeo Birra Moretti, festeggiato nel 2006 tramite l’emissione di una lattina in numero limitato e serigrafata con il logo del decennale.
Attiva è la sua presenza anche nel mondo del cinema: vedi tra l’altro la 10a edizione del Milano Film Festival, uno dei più interessanti concorsi della giovane cinematografia internazionale. In occasione poi dello sponsorizzato campionato nazionale di pizza, esperti mastri birrai tengono magistralmente lezioni sulle tecniche di spillatura e sui migliori abbinamenti gastronomici pizza-birra. Per finire, patrocina il primo concorso letterario in Italia dedicato alla birra, “Penna & Birra”, per opere di narrativa e brevi racconti in qualche modo legati alla bevanda; è nuovo sostenitore e promotore del più antico e prestigioso premio giornalistico d’Italia, il “Premiolino”, istituito nel 1960. Il riconoscimento viene assegnato a sei giornalisti che nel corso dell’anno si siano distinti, oltre che per il proprio impegno professionale, per aver difeso l’indipendenza delle opinioni e la libertà di stampa da qualsiasi condizionamento.
Dreher/Trieste
L’idea di aprire una fabbrica di birra a Trieste, all’epoca sotto il dominio austriaco, venne a uno sconosciuto arrivato da Praga, un certo Voelckner. Pasquale Rivoltella, uomo di prestigio in città, costituì un Comitato Fondatore tra alcuni esponenti dell’economia locale. Riuscì invece a mettere insieme il cospicuo capitale di 700 mila fiorini necessario per la costruzione dello stabilimento il cav. Elio de Morpurgo, una personalità politica di rilievo che coinvolse la Banca Rotschild di Parigi, l’Azienda Assicuratrice, il barone De Lutteroth, l’armatore Bauer e il latifondista viennese Friedland.
Nel 1865 fu costituita la Prima Società per la Fabbrica di Birra in Trieste, mentre i lavori erano già cominciati da sei settimane. All’inizio dell’anno successivo venne inaugurato l’impianto, a distanza di qualche mese messa in commercio la prima birra e, subito dopo, aperta una birreria annessa alla fabbrica.
Purtroppo gli affari cominciarono pessimamente, e a nulla valse la sostituzione del mastro birraio Giust. Con un’impresa che andava a rotoli, Giuseppe de Morpurgo, rimasto peraltro nel frattempo unico proprietario, non poté non accettare nel 1869 l’offerta di 300 mila fiorini avanzata da Anton Dreher (l’inventore della birra di Vienna), da cui l’azienda prese la nuova denominazione.
Rimasta chiusa per diverso tempo, la fabbrica riprese l’attività nel 1870.
Furono pian piano eseguiti diversi lavori, fino all’installazione, nel 1877, di uno dei primi compressori Linde per la creazione del freddo e, tra il 1888 e il 1890, all’utilizzo dell’elettricità.
Anche questa volta però, nonostante il prestigio del nome e l’impulso apportato dal nuovo proprietario, il mercato deluse in buona parte le aspettative. Contemporaneamente, le altre fabbriche del gruppo Dreher cominciavano ad accusare una crisi paurosa. Nel 1905 si cercò di correre ai ripari tramite la concentrazione tecnica e finanziaria di tutte le aziende creando una società unica, la Anton Dreher Aktiengesellschaft.
Con l’adeguamento degli impianti, il gruppo Dreher qualche risultato, lo raggiunse; troppo poco però. Nel 1913 avvenne la fusione con due gruppi austriaci e nacque la Vereinigte Brauereien (“Birrerie Riunite”): presidente, Anton Dreher; vicepresidenti, gli esponenti delle altre due aziende, Viktor Mautner von Markhof e Georg Meichl (la moglie di Dreher proveniva peraltro dalla famiglia di quest’ultimo).
La nuova società prometteva bene: in un anno produsse 1 milione 250 mila ettolitri di cui 120 mila a Trieste. Poi arrivò la guerra; finita la quale, la Vereinigte Brauereien venne a trovarsi in una situazione finanziaria spaventosa. Nel 1917 era morto in guerra il figlio di Anton Dreher che aveva lo stesso nome. Nel 1921, con la morte sia di Anton che di Oscar Anton Dreher, si estinse la famiglia.
L’azienda fu venduta dai superstiti a un consorzio di banche viennesi dalle quali, nel 1928, venne rilevata la fabbrica di Trieste a opera del gruppo italiano Luciani.
Riportati faticosamente all’efficienza gli impianti che per circa 15 anni erano rimasti nel più assoluto abbandono, la Dreher si stava riprendendo molto bene, quando le piombò sul capo la tegola del proibizionismo. Solo nel 1936 poté finalmente riprendere fiato, acquisendo perfino un buon mercato nell’Africa orientale. Ma arrivò presto il secondo conflitto mondiale, e la città di Trieste dovette attendere la restituzione all’Italia della “Zona A” perché ritrovassero pace la sua vita e l’economia.
La crescita produttiva dal 1960 al 1964 rese necessaria una nuova ristrutturazione della fabbrica. Nel 1974 però la Dreher passò sotto il controllo della Heineken e della Whitbread. Quattro anni dopo ne era unico proprietario il gruppo olandese; e lo stabilimento venne, prima, chiuso e, poi, abbattuto.
Nel 2001, a opera dell’Associazione Birrofila Triestina, fondata da appassionati e collezionisti, nacque il Museo Dreher, uno spazio dedicato alla raccolta di centinaia di oggetti e testimonianze della famosa fabbrica che un tempo sorgeva a Trieste. In particolare, si conserva la lettera che nel 1945 la Dreher inviò all’Alto Comando Tedesco con la richiesta ufficiale di pagamento del saldo di 43 mila lire che la Wehrmacht (in tedesco, “forza di difesa”, denominazione dell’insieme delle forze armate tedesche dal 1935 al 1945) aveva in sospeso con il birrificio.
Per il buon rapporto qualità-prezzo la Dreher si rivolge a un target molto ampio, per cui da diversi anni il suo marchio è sostenuto da divertenti spot, da una campagna stampa e affissioni e da serie di eventi. La produzione avviene, oltre che in Italia, sotto il controllo della Heineken Italia, anche in Ungheria, presso la Dreher Sörgyárak Zrt.
Birra Aosta/Aosta
Nel 1837 nacque ad Aosta, con il nome di Brasserie Zimmermann, la seconda storica birreria italiana. Fu opera di Anton Zimmermann (nato a Gressoney-Saint-Jean nel 1803), dopo aver completato in Francia e in Germania gli studi di maître brasseur. Fu lui infatti a importare nel Regno di Sardegna il sistema bavarese della bassa fermentazione.
La Zimmermann, esempio di efficienza e modernità, incontrò subito il favore degli abitanti della Valle d’Aosta e dei turisti che arrivavano sempre più numerosi, non solo per le bellezze naturali della regione, soprattutto nel crescendo delle competizioni alpinistiche nazionali e internazionali.
Alla morte di Anton Zimmermann, avvenuta nel 1873, gli succedette il nipote Antonio Thedy, che aveva studiato l’arte di braumeister nella celebre scuola di Augusta. E la Brasserie Zimmermann prese la denominazione di Birra Graf Antonio Thedy.
Antonio Thedy non rimase inerte dinanzi all’aumentare dei volumi di produzione e all’evolversi delle tecniche birrarie. Apportò quindi tutte le modifiche necessarie, strutturali e funzionali. Nel 1892, secondo la consuetudine del tempo, aprì, attigua alla fabbrica, la Birreria Zimmermann per la mescita. A fine secolo cominciò anche a diversificare la produzione: alla münchner scura affiancò la pilsner chiara. Sicché all’inizio del Novecento la Brasserie Zimmermann si presentava come un’industria moderna e nazionale di grande prestigio.
Nel 1915 la direzione passò nelle mani della famiglia Vincent, e l’azienda divenne Birra Aosta di Matilde Vincent e Co.
Fortunatamente la guerra non incise negativamente sugli affari della birreria che, sotto la nuova denominazione, continuò a prosperare negli anni successivi. Addirittura, nel 1924, fu acquistata una piccola centrale elettrica.
Nel 1925 ad Antonio Thedy subentrò il cognato Corrado Vincent. Nello stesso anno la fabbrica venne danneggiata da un incendio, e fu l’occasione per costruire una nuova officina meccanica e una falegnameria, dove, oltre alla manutenzione delle botti in legno, venivano costruite le cassette per il trasporto delle bottiglie di birra. Venne anche installato il primo compressore per rinnovare l’impianto di raffreddamento fino ad allora costituito da tubi a salamoia; il parco mezzi, costituito da carri trainati da cavalli, fu sostituito con moderni autocarri; vennero creati depositi a Torino, Milano e Genova. Nel 1931 la produzione raggiunse i 2600 ettolitri. Quattro anni dopo fu rilevata la fonte di acque minerali Vittoria.
Nel 1936, a soli vent’anni, Roberto Vincent, dopo gli studi svizzeri, a Neuchatel, e il conseguimento del diploma di ragioniere a Torino, tornò ad Aosta per sostituire il padre nella direzione dell’azienda, che diventò così Birra Aosta Roberto Vincent e Co. Partecipò alla seconda guerra mondiale e subito dopo operò un ulteriore rinnovamento degli impianti. Non solo. Mostrò anche molta attenzione nei confronti delle maestranze preoccupandosi per la loro sicurezza sul posto di lavoro, sì da meritarsi il titolo di Commendatore della Repubblica. E la prima metà del secolo per la Birra Aosta si chiudeva alla grande, con una produzione di 6247 ettolitri.
Purtroppo, nel 1965, per una grave malattia, a soli 51 anni, Roberto morì. Gli eredi si resero subito conto di non essere in grado di assumere le dimensioni necessarie per rimanere a galla in un mercato diventato troppo competitivo e, nel proprio interesse, accettarono l’offerta di acquisto da parte del Gruppo Faranda di Messina, che peraltro garantiva la continuazione sul posto dell’attività.
Nel 1966 nacque la S.I.B. (Società Internazionale Birraria), nell’ottica di operare a livello nazionale. L’area occupata dalla ex Birra Aosta, in città, non permetteva la costruzione di un grande stabilimento; pertanto fu comprata una vasta superficie in località Aeroporto, a Pollein.
Del resto l’intesa commerciale raggiunta con la tedesca Henninger Bräu di Francoforte sul Meno dava sicurezza sul futuro dell’azienda che, nel 1973, inaugurò la nuova fabbrica dalla più avanzata tecnologia sotto i migliori auspici.
Tra la fine del 1988 e l’inizio del 1989 la produzione raggiunse i 500 mila ettolitri, e la birra Henninger veniva distribuita su tutto il territorio nazionale, grazie a una rete di circa mille concessionari. Ma ecco, nello stesso anno, la Heineken a mettere a segno un altro dei suoi colpi, questa volta col Gruppo Faranda.
Nel 2007 la Heineken Italia annunciò la chiusura dello stabilimento di Pollein. Si attivò allora la Regione della Valle d’Aosta per procrastinare di almeno due anni il triste evento, purtroppo a caro prezzo. L’intesa prevedeva il pagamento, da parte della Regione, di 16 milioni di euro, in cambio della promozione dell’immagine territoriale tramite un logo su tutte le bottiglie di birra Dreher, Prinz e Von Wunster.
Von Wunster/Seriate
Azienda, in provincia di Bergamo, risalente al 1879. Fu fondata dal ventiquattrenne bavarese Heinrich von Wunster nei locali che avevano ospitato l’importante setificio del padre. Il nome era Premiata Fabbrica di Birra a Vapore e il prodotto, commercializzato in fusti e in bottiglie con tappo di sughero, recava il marchio Birra Seriate.
Nel 1915 la fabbrica, intestata a Heinrich von Wunster, cittadino tedesco quindi considerato un nemico, dovette chiudere. I tre figli maschi invece, Enrico, Federico e Carlo, avendo optato per la cittadinanza italiana, erano stati chiamati alle armi.
L’attività riprese dopo la guerra, al ritorno dei tre fratelli. Questi rilanciarono l’azienda e costringendo al fallimento la rivale Birra Bergamo; ma, per non farla cadere in mano alla concorrenza, dovettero acquistarla l’anno successivo, sobbarcandosi a un pesante onere finanziario.
Con la crisi del 1929 l’azienda fu costretta a operare una fusione, prima, con la Birra Ambrosiana di Vimercate e, poi, con la Birra Italia di Milano, che rilevò le fabbriche di Seriate e di Vimercate. Dall’operazione rimase escluso lo stabilimento di Bergamo, che fu riattivato nel 1935, ma con il nuovo marchio di Birra Orobia, perché le leggi fasciste imponevano nomi italiani alle aziende. Si era in pieno periodo di recessione; ma la Birra Orobia non si arrese.
Nel 1945, quando praticamente non si trovava quasi nulla per produrre la birra, la giudiziosa impresa si diede da fare per scovare quel poco di malto e di luppolo reperibile e, comprando le bottiglie vuote lasciate dagli eserciti alleati, riuscì a battere la concorrenza sul tempo conquistando anche nuovi mercati.
Alla crescita produttiva del 1950 seguì per tre anni un calo continuo; ma dal 1953 l’ascesa della Birra Orobia fu continua, fino a sfiorare i 480 mila ettolitri nel 1980. Intanto, nel 1961, il nome era diventato Birra Von Wunster S.p.A. e, nel 1974, era stato completato il moderno stabilimento di Comun Nuovo (BG).
La solita difficoltà a reggere la concorrenza da soli portò, nel 1986, alla cessione del 35% delle azioni alla Peroni. Nel 1988 entrò in società anche la Stella Artois. Nel 1991 la Interbrew (ex Artois) rilevò la quota della Peroni diventando proprietaria al 100%. Nel 1995 il colosso belga cedette tutte le sue attività italiane alla Heineken.
Prinz Bräu/Località varie
Il gruppo tedesco Rudolf-August Oetker di Bielefeld, uno dei più grossi gruppi industriali dell’allora Germania Federale, volendo entrare nel mercato italiano della birra, costruì, in quattro anni successivi, altrettanti stabilimenti, ciascuno con la propria s.p.a. Il primo, nel 1962 a Carisio (VC), Prin Bräu Carisio; il secondo, nel 1963 a Crespellano (BO), Prinz Bräu Crespellano; il terzo, nel 1965 a Ferentino (FR), Prinz Bräu Ferentino; il quarto, nel 1966 a Bitonto (BA), Prinz Bräu Bari.
Nel 1981 nacque, con sede a Crespellano, la Prinz Bräu Italia S.p.A., che riuniva la quattro società sparse in altrettante regioni. Nel 1982 lo stabilimento di Bitonto fu chiuso e lo comprò l’Adriatica Industrie Alimentari di Adelfia (BA) per produrvi la Birra Castelberg. Nel 1984 la sede legale della Prinz Bräu Italia fu trasferita a Bologna.
Nel 1987 si susseguirono altri colpi di scena. Gli stabilimenti di Ferentino e di Carisio furono chiusi. La Prinz Bräu Italia fu acquistata, attraverso la Wolfsbräu, dalla famiglia romana di Pasquale Alecce (a cui fa capo l’Istituto Farmacoterapico Italiano di Roma) e, attraverso la Gerape S.p.A., dalla famiglia austriaca Windisch-Graetz. La sede della Prinz Bräu Italia fu trasferita a Roma e venne creata, a Crespellano, una sede secondaria. La Wolsbräu, proprietaria di uno stabilimento a Balvano (PZ), dove produceva la birra Wolsbräu appunto, iniziò la produzione anche della Prinz sotto la supervisione della Prinz Bräu Italia.
Nel 1989 il gruppo canadese John Labat comprò la Prinz Bräu Italia e la Birra Moretti di Udine. La produzione continuò nei tre stabilimenti di San Giorgio di Nogaro, Crespellano e Balvano, mantenendo tutti i marchi di birra sotto il nome societario di Moretti S.p.A. Poi le due società rilevate dalla John Labatt si unirono in Birra Moretti S.p.A. con sede a Udine. Finiva così operativamente la Prinz Bräu Italia; mentre la Moretti S.p.A. creava a Balvano una sua s.r.l.
Nel 1995 la Interbrew acquistò il gruppo John Labatt, per cederlo l’anno successivo alla Heineken. Finiva così in mani olandesi la Birra Moretti S.p.A. con tutti i suoi marchi.
Nel 1997 la Heineken Italia dismise, per il provvedimento antimonopolio, lo stabilimento di San Giorgio di Nogara e chiuse quello di Crespellano (rilevato dall’azienda Beghelli). Infine, nel 1999 vendette alla Tarricone lo stabilimento di Balvano. Così della Prinz Bräu Italia S.p.A., la prima azienda tedesca di birra a essere presente nel nostro mercato, rimase solo il marchio, Prinz Bräu (spesso conosciuto in Italia solo come Prinz). La sua produzione, ovviamente a opera della Heineken Italia, sempre su licenza della Binding Brauerei di Francoforte sul Meno, riprese nel 2000. Per il suo basso costo, ultimamente la Prinz è sempre meno disponibile nei supermercati e sempre di più nei discount.
Birra Ichnusa/Assemini
Chiariamo subito che Ichnusa è l’antico nome della Sardegna (in lingua fenicia, “sandalo”, per la sua forma). Furono infatti proprio i Fenici a far conoscere e apprezzare la birra ai Sardi.
Circa il nome del fondatore della Birra Ichnusa, comunque nata a Cagliari nel 1912, c’è qualche incertezza. Secondo alcuni storici, sarebbe stato Giovanni Giorgetti a fondare la Birraria Ichnusa per cederla l’anno successivo ad Amsicora Capra. Secondo altri invece, quest’ultimo era figlio di Giovan Battista, che nel 1860 aveva creato a Quartu Sant’Elena una piccola ma raffinata cantina specializzata nella produzione di vini pregiati destinati all’esportazione. Quindi, seguendo le orme paterne, Amsicora Capra comprava il vino dai più importanti produttori dell’isola, produceva alcol nella distilleria annessa alla sua principale cantina di Pirri, e spediva il tutto, non solo in continente, anche nel resto d’Europa.
Basti pensare che era proprietario di una vera e propria flotta: otto veicoli, tra piroscafi e velieri. Quando poi, dal 2011, la fillossera cominciò a mettere in ginocchio la viticoltura sarda, Amsicora Capra pensò bene di buttarsi nel business birrario.
Per 30 anni la birra Ichnusa rimase confinata in ambito regionale, riscuotendo però grande successo di vendite. Uscì dal proprio guscio subito dopo il secondo conflitto mondiale, sia grazie a una maggiore pubblicità sia grazie alla maggiore richiesta di mercato.
Di fondamentale importanza si rivelò per l’azienda l’ingresso, nel 1959, di Enrico Capra, che acquistò una decina di anni dopo il 48% delle quote dei suoi cugini.
Intanto, nel 1963, fu progettata la costruzione di una nuova unità produttiva ad Assemini, alle porte di Cagliari, in una zona particolarmente ricca di falde acquifere. Nel 1967 Birra Ichnusa si spostò definitivamente nel nuovo stabilimenmto, il primo in Italia a installare serbatoi di fermentazione verticali cilindro-conici.
Nel 1986 lo stabilimento di Assemini, che risultava tra i più efficienti d’Italia, raggiunse i 580 mila ettolitri. La Birra Ichnusa entrò così nel mirino della Heineken, che non tardò a sottoscrivere alcune quote di partecipazione per acquisire la maggioranza l’anno successivo. Furono però lasciate inalterate le linee di produzione e la ricetta della bevanda dall’aroma e dal gusto inconfondibili.
Seguì un ulteriore ampliamento, e ammodernamento, fino a che, nel 2008, lo stabilimento di Assemini assorbì la produzione, non solo del marchio Icnusa, anche di quasi tutti i tipi di birra del gruppo Heineken Italia.
Nel 2011 la birra Ichnusa rinnovò la propria immagine con una nuova bottiglia e una nuova etichetta, con l’inamovibile emblema sardo della croce con i quattro mori bendati.
Simbolo dei valori e delle tradizioni più profonde della Sardegna, la Ichnusa viene da sempre considerata la birra sarda per eccellenza e fa registrare nella regione gli indici di consumo più alti di tutta la Penisola.
Il suo forte legame con la terra d’origine viene, da Birra Ichnusa, incessantemente consolidato dal supporto di diverse attività e manifestazioni locali, come un festival musicale, un concorso musicale, un altro fotografico. Neanche allo sport fa mancare il suo sostegno: dopo aver sponsorizzato per anni il Cagliari Calcio, dal 2012 è diventata sponsor della Dinamo Basket Sassari per incrementare il mercato nel nord dell’isola. E infine, per valorizzare il patrimonio storico e culturale della Sardegna, l’azienda patrocina una borsa di studio presso l’Università di Cagliari.
Birra Messina/Messina
Vedi Birra dello Stretto.