Carlsberg Group

Tratto da La birra nel mondo, Volume II, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Copenaghen/Danimarca
Nel 1801 il mastro birraio Jacob Christian Jacobsen acquistò, insieme al fratello, una birreria situata nei sotterranei dei bastioni della città e cominciò a fabbricare anche lui le solite birre di frumento.
La Danimarca non aveva una tradizione birraria al livello della Germania o della Gran Bretagna. Tanto meno, data l’età, Jacobsen era propenso ad avventurarsi in sistemi scientifici e sistematici di cui arrivavano notizie dall’estero. Iscrisse però subito il figlio alla Technical University di Copenaghen appena nata.
Jacob Christian jr. apparteneva chiaramente a una nuova generazione: appassionato della sperimentazione tecnica e gran divoratore di pubblicazioni scientifiche, aveva idee ben diverse per la testa. Sognava la produzione su larga scala (altro che le partitelle a cui erano abituati la maggior parte dei piccoli birrai danesi!); e, soprattutto, si sentiva affascinato dal rivoluzionario metodo di fermentazione bassa che prendeva sempre più piede in Baviera.
Con la morte del padre, avvenuta nel 1835, il ventiquattrenne Jacobsen si ritrovò a doversi interessare della piccola azienda di famiglia che in fin dei conti era una delle più moderne del Paese. Iniziò i suoi viaggi di studio a Monaco dove il famoso birraio della Spaten, Gabriel Sedlmayr, produceva la prima lager scura. E si racconta che nel ritorno del 1845 portasse via un paio di litri di quel fermento continuando a immergere, durante il lungo tragitto in treno, il contenitore nell’acqua fredda e tenendolo riparato con il cappello a cilindro.
La nuova fabbrica sulla collina di Valby, nelle immediate vicinanze di Copenaghen, era ancora in costruzione. Jacob Christian cominciò gli esperimenti in quella vecchia. Finalmente, il 10 novembre 1847, il neoimpianto “sfornò” la prima partita di lager scura tipo monaco. Mentre l’azienda prendeva il nome di Carlsberg (“Collina di Carl”), da Carl, il figlio di 5 anni del produttore, e dal termine danese berg “collina”.
Jacob Christian Jacobsen poteva ormai considerarsi il pioniere del nuovo metodo scientifico di produrre la birra nell’Europa del Nord. Dal 1868 la sua fama si era estesa anche all’estero, con l’esportazione, prima, in Scozia e, successivamente, nei paesi scandinavi e nelle Indie Occidentali. Per non parlare dell’Estremo Oriente, dove la Carlsberg era diventata addirittura un marchio importante.
Nel 1875 l’intraprendente birraio dotò la fabbrica di un Dipartimento di Chimica e di un Dipartimento di Fisiologia. E fu proprio in questi laboratori che, nel 1883, Emil Christian Hansen isolerà la prima cellula della coltura di lievito monocellulare, chiamato Saccharomyces carlsbergensis, in onore dello stabilimento. Una vera e propria pietra miliare per l’industria brassicola: permetteva di produrre lager in gran quantità e con qualità costante.
Ma la scienza aveva di sicuro in serbo tante altre sorprese: bisognava promuovere una ricerca continua. Nel 1876 Jacob Christian Jacobsen istituì la Fondazione Carlsberg che, nel 1887, alla sua morte (avvenuta durante una visita a Roma), acquisì la proprietà della fabbrica.
La televisione danese non avrebbe potuto trascurare un personaggio di tanta levatura. Nel 1996 produsse il programma più costoso della sua storia, uno sceneggiato in 12 episodi sulla vita di Jacob Christian Jacobsen dal semplice ma significativo titolo Il birraio.
L’era di Carl Jacobsen iniziò subito sotto diversi auspici. Del resto il giovane si era trovato di frequente in contrasto con il padre. Già nel 1882 aveva aperto una fabbrica per conto proprio, Ny (“Nuova”) Carlsberg, che si contrapponeva quindi alla Gamle (“Vecchia”) Carlsberg. Proprio per questo conflitto, il padre aveva lasciato la propria fabbrica alla Fondazione Carlsberg. Comunque le due aziende, nel 1906, si fusero sotto la direzione di Carl e rimasero così fino alla sua morte (1914).
Ciò che difatti interessava veramente a Carl Jacobsen era l’arte. Suo, il progetto, disegnato nel 1901 nei minimi dettagli e realizzato dall’architetto J.L. Dahlerup, dell’imponente stabilimento su un terreno contiguo per promuovere la pilsner. Spiccano in modo particolare gli ornamenti in stile fiorentino e i quattro elefanti di pietra a grandezza naturale del portale, ispirati a quelli di piazza Minerva a Roma e scolpiti da H.P. Pedersen-Dan. Nel 1902 ne divenne proprietaria la Nuova Fondazione Carlsberg, istituita da Carl e dalla moglie, Ottilia.
Ma tale Fondazione, che opera come parte indipendente della Fondazione Carlsberg, fu creata anche, e soprattutto, per realizzare in Danimarca un museo di arte moderna (museo che oggi, con tanto di microbirrificio, attira annualmente circa 150 mila visitatori) e promuovere lo studio più ampio della storia dell’arte, acquisendo opere da altri musei.
La stessa Copenaghen infine deve in gran parte a Carl Jacobsen la propria fisionomia di città dalle mille guglie e dai pinnacoli aerei; la celebre statua della Sirenetta, divenuta emblema della città, fu un dono, nel 1913, del generoso birraio.
Nel 1903 la Carlsberg stipulò con la rivale cittadina Tuborg un accordo di cooperazione per condividere utili e perdite fino al 2000. L’anno successivo commissionò a uno dei più ricercati grafici dell’epoca, Thorvald Bindesbøll, l’inconfondibile marchio in stile floreale.
Ai primi degli anni Cinquanta, prevedendo lo sviluppo del mercato brassicolo mondiale, decise di entrare nel settore di nicchia ad alto profilo, sperimentando un tipo di birra forte: nacque così, nel 1955, la Elephant, prendendo il nome dagli elefanti del famoso portale. Ma già dal primo dopoguerra si era mossa alla conquista dei mercati europei, puntando soprattutto sull’internazionalizzazione dei propri marchi.
Nel 1970, dopo decenni di cooperazione sempre più stretta, avvenne la fusione tra Carlsberg e Tuborg, conservando però ognuna la propria dirigenza e l’identità di marca. Un avvenimento di fondamentale importanza per entrambe le aziende che cominciavano, insieme, l’ascesa tra i più grandi produttori di birra al mondo. Denominato United Breweries, dal 1987 il gruppo viene indicato semplicemente come Carlsberg.
La Tuborg Factories, nella parte nord della città, fu fondata nel 1873 da una cordata di finanzieri e banchieri con lo scopo preciso di costituire un gruppo di esportazione. E inizialmente produceva le stesse lager scure introdotte in Danimarca dalla Carlsberg. Ma proprio dal mercato estero arrivavano i segni di una politica sbagliata; mentre all’interno le vendite erano più che soddisfacenti.
Ci pensò il famoso e intraprendente mastro birraio Hans Bekkevold, a equilibrare la situazione, elaborando una birra dorata e leggera, la prima pilsner danese. Mentre la Tuborg prendeva, tra le prime aziende del Paese, a imbottigliare i suoi prodotti. Sicché la birra con l’etichetta verde, lanciata nel 1880, fece un exploit tale che alla fine l’impianto non riusciva più a sostenere la domanda.
Nel 1903 fu costruita una nuova fabbrica, alta sette piani. All’interno, sulle luccicanti caldaie di rame un enorme orologio da parete ammoniva sussiegoso le maestranze con la scritta “Il tempo è denaro”: il cardine della filosofia aziendale in un inarrestabile sviluppo.
Era anche l’anno in cui le due concorrenti di Copenaghen suggellarono l’unione commerciale. E, fino al 1970, la Tuborg rimase il secondo birrificio danese sul mercato mondiale; anche se con vendite superiori a quelle della Carlsberg, sia all’interno che negli altri paesi dell’area nordica.
Con la fusione, la Tuborg mantenne la produzione presso la propria fabbrica, come pure il titolo di “fornitore ufficiale della reale casa”; nonché, al pari della Carlsberg, il grande centro visitatori.
Copenaghen deve anche alla Tuborg una curiosa realizzazione, una bottiglia di birra alta 26 metri. Fu costruita, in occasione della Grande Esposizione Industriale del Nord del 1888, nel parco di Tivoli, con in dotazione il primo ascensore idraulico del Paese. Nel centenario della manifestazione poi venne trasferita in centro, vicino al Municipio.
Nel 1991 invece alla Fondazione Carlsberg venne unita la Fondazione Tuborg, creata nel 1931 allo scopo di finanziare sul territorio danese progetti di arte, cultura, sport, educazione.
Oggi la Carlsberg copre i tre quarti del mercato danese e realizza, all’estero, più dell’80% delle vendite. Ma, soprattutto, si muove in un ambito di ben più ampio respiro, quello del Carlsberg Group. Quest’ultimo controlla o ha collegamenti con più di 100 società, per la maggior parte fuori dei patri confini.
Da ricordare che, all’estero, la prima licenza di produzione fu data, nel 1966, alle Photos Photiades Breweries di Cipro; mentre la costruzione della prima fabbrica avvenne due anni dopo a Blantyre, nel Malawi.
Esaminiamo quindi, in rapida panoramica, la “potenza” mondiale di questo colosso, tralasciando naturalmente la Carlsberg Italia e la Carlsberg UK, per ovvi motivi, trattate a parte.
Il Carlsberg Group è proprietario, in patria, della Wiibroe di Elsingør. Possiede, a Fredericia, la Fredericia Bryggeri, una fabbrica aperta nel 1979 per la produzione, in particolare, di birre Carlsberg e Tuborg destinate al mercato della parte occidentale del Paese; ma dove oggi è concentrata tutta la produzione in Danimarca. Ha partecipazioni nei due gruppi minori Ceres/Faxe Bryggerigruppen e Albani Bryggerierne, il secondo rilevato dal primo che, a sua volta, è controllato dalla Royal Unibrew A/S.
Nel 2001 si integrò con il gruppo scandinavo Orkla, costituito da Pripps e Ringnes, i maggiori produttori, rispettivamente, di Svezia e Norvegia. Ma la Pripps aveva anche creato, con la finlandese Hartwall, una joint venture (la Baltic Beverages Holding) che il gruppo Carlsberg prese a condividere con la Scottish & Newcastle.
Ancora in Svezia, la Unilever cedette al gruppo Carlsberg la quota di maggioranza di un importante produttore, la Falcon Bryggerier. La stessa quota che nel 1997 il colosso danese acquistò nella seconda azienda finlandese, la Sinebrychoff.
Il gruppo Carlsberg detiene il controllo della Koprivnica, in Croazia; del terzo produttore polacco, la Okocim; della Celavery, seconda azienda per importanza in Serbia, con sede a Voivodina. Da segnalare anche la Carlsberg Bulgaria e la Carlsberg Hungary Sales, nonché un quarto posto in Romania. In Grecia, nel 2014, rilevò la Olympic Brewery, facendone il secondo più grande produttore del Paese.
In Germania, dopo la Hannen, rilevò nel 2004 il gruppo Holsten di Amburgo, cedendo però alcuni marchi, come König-Brauerei e Licher, alla Bitburger. Fanno parte del gruppo Carlsberg Deutschland, con 7 milioni di ettolitri prodotti annualmente, anche: la Mecklenburg di Lübz, la Landskron di Görlitz; nonché, dal 2005, il Göttsche-Getränke Group che unisce i grossisti di bevande nella Germania Nord-Est. Una joint venture con il Nordmann Group, denominata Nordic, approvata dalla Antitrust tedesca, realizzò il più grande distributore di bevande della Germania settentrionale. Altro importante acquisto era avvenuto in Svizzera nel 2002, con il gruppo Feldschlösschen Getränke, il maggior produttore del Paese.
In Portogallo, il “gigante” danese ha partecipazioni nel primo grande gruppo, la Unicer, cui sono affidate la produzione e la distribuzione locale dei propri marchi. Mentre in Turchia è proprietario della Türk Tuborg Bira ve Malt Sanayii di Smirne, piccolo stabilimento con impianto di maltaggio (creato dalla Tuborg nel 1967) che produce la pilsner Venus e la lager Tuborg.
Passando in Asia, il gruppo Carlsberg controlla circa il 10% del mercato vietnamita, tramite la South East Asia Brewery e la Hue Brewery. Possiede la Hite Brewery, in Corea del Sud; in Thailandia, la Carlsberg Brewery Thailand. In Malaysia, portò al 51% la quota nella Carlsberg Brewery Malaysia Berhad. In Cina poi ha partecipazioni in 20 compagnie, per lo più nelle regioni occidentali, tra joint venture e aziende di proprietà (Wusu Brewery, Jiuquan West Brewery, Gansu Tianshui Bema Brewery, Kunming Huashi, il gruppo Lanzhou Huanghe con 4 birrerie nelle province di Gansu e Qinghai). Nel Tibet, rilevò dalla Tibet Galaxy Science & Technology Developement il 50% dell’unica birreria, la Lhasa Brewery. In India, insieme alla Ceylon dello Sri Lanka, costituì la joint venture South Asia Breweries, con sede a Delhi e lo stabilimento nel Rajasthan.
Possiede fabbriche anche in Africa per la produzione diretta della propria gamma: in particolare, come già detto, la Carlsberg Malawi, il primo stabilimento impiantato al di fuori della Danimarca nel 1968 tramite una partnership con il governo del Paese. In Uganda, la Nile Breweries, che il gruppo danese rimise in attività nel 1992, dopo il ventennio di quasi-abbandono che coincise e seguì la feroce dittatura personale di Amin Dada Idi Oumee.
Negli Stati Uniti, interruppe, di comune accordo, i rapporti con la Labatt USA, costituendo la Carlsberg USA per avere il pieno controllo sulla commercializzazione dei prodotti. Raggiunse invece un’intesa con la Foster’s per la produzione e la distribuzione in Australia dei propri marchi.
La partnership con la Budweiser Budvar prevede la distribuzione dei prodotti della birreria ceca (in particolare la Budweiser Budvar e la Dark Lager) sia in Danimarca sia in vari paesi europei tra cui Finlandia, Svezia, Serbia, Bulgaria, Croazia; e chiaramente la commercializzazione delle proprie etichette da parte della Budweiser Budvar nella Repubblica Ceca. L’accordo infine del gennaio 2008 con la Modelo consente al gruppo danese di vendere Corona Extra, Negra Modelo e Modelo Especial, oltre che in Italia, in Svizzera, Malaysia e Singapore.
Con gli stabilimenti di Fredericia (Danimarca), Northampton (Inghilterra), Kerava (Finlandia), Gjelleråsen (Norvegia), Smirne (Turchia), Koprivnica (Croazia), Falkenberg (Svezia), Stettino e Brzesko (Polonia), e per ultimo quello di Induno Olona (Italia), la Carlsberg ha creato un eletto gruppo di unità produttive, denominate anchor (“ancora”), peraltro dislocate in aree con prevedibile aumento di consumi, capaci di garantire il livello qualitativo e la riduzione dei costi programmati dalla direzione centrale.
Alla fine, nel febbraio del 2008, comprò, insieme alla Heineken, la Scottish & Newcastle, accollandosi il 54,5% del costo complessivo (7,8 miliardi di sterline). E, con la spartizione delle attività del gruppo britannico, il colosso danese si assicurò il controllo totale della Baltic Beverages Holding, nonché la proprietà delle aziende dislocate in Francia, Grecia, Cina e Vietnam.
Considerando l’apporto dell’ultimo acquisto, la produzione complessiva ha superato i 120 milioni di ettolitri annui, il che consente al “gigante” danese il quarto posto tra i grandi produttori mondiali (con una quota di mercato del 6%). Ma esso è molto attivo anche nel settore dei soft drink e imbottiglia la Coca-Cola.
Non ha ovviamente trascurato, il gruppo Carlsberg, le strategie promozionali, legando, tramite sponsorizzazioni, la propria immagine allo sci; al mondo del calcio (Liverpool, campionati europei, Coppa Uefa, Supercoppa Europea, Coppa dei Campioni; e, da founding partner, il nuovo stadio di Wembley); alla musica “giovane”, col Best Fan Award.
Carlsberg, premium pils di colore giallo paglierino (g.a. 5%); la birra di punta nel portafoglio Carlsberg, di oltre 500 marchi. È prodotta in più di 40 paesi e distribuita in non meno di 140. Si tratta della prima pilsner della Carlsberg, creata da Carl nel 1904. Dal 1931 era nota anche come Hof, dal nome danese della corte reale; ma dal 1991, questo soprannome sopravvive solo in qualche mercato estero, come Regno Unito e Svezia. Deve la sua fama mondiale, oltre che a una forte strategia promozionale, all’interpretazione danese dello stile, senza ovvero elementi distintivi del gusto, allo scopo preciso ed evidente di proporsi come prodotto internazionale. Oggi viene offerta in una caratteristica bottiglia assottigliata, con il marchio in rilievo sul vetro e un elegante collarino metallizzato. Con un’effervescenza moderata, la spuma sgorga fine e aderente. L’aroma, di buona intensità, esala a malapena luppolizzato, con sentori in secondo piano di malto chiaro. Nel corpo leggero l’equilibrio gustativo risulta giusto. La dolcezza tipica delle birre di questa azienda si esprime netta, ma delicatamente secca, in una corsa regolare. Il finale è un crescendo di luppolo che si perde nel retrolfatto neutro, lasciando la bocca pulita.
Carlsberg Elephant, strong lager di colore giallo oro acceso con riflessi aranciati (g.a. 7,2%); elaborata secondo lo stile delle bock tedesche. Con una morbida effervescenza media, la spuma, fitta e tenace, disegna bei “merletti di Bruxelles” alle pareti del bicchiere. L’aroma fine, penetrante, emana sentori di malto e di luppolo con accenni floreali e di erba appena tagliata. Il corpo, di ottima struttura e di consistenza oleosa, nasconde la forza sotto una generosa aromaticità e la raffinatezza del sapore. Il gusto dolce di malto compie un’interminabile corsa, per sfociare nel delizioso finale amaro. Una suggestione ancora di sottile amarore compare nella lunga persistenza del retrolfatto.
Carlsberg Ice, ice beer di colore dorato giallastro (g.a. 5,6%); fabbricata in Germania, secondo il Reinheitsgebot, dalla Hannen per il mercato tedesco. L’effervescenza è discreta; la schiuma però mostra scarsa solidità. L’aroma di cereali, malto e luppolo ha un apprezzabile equilibrio. Il corpo medio è di una consistenza piuttosto acquosa. Il sapore, subito dolce, va stemperandosi pian piano fino a lasciare il palato asciutto. Completa l’“opera” il luppolo, segnando con decisione il finale e protraendosi in una sufficiente persistenza retrolfattiva. Se si tiene presente che la ricetta della Carlsberg non mira a un gusto pronunciato, bensì internazionale, con proprietà specificatamente dissetanti, allora questo prodotto, specie se bevuto freddo, può senz’altro essere considerato un’interpretazione tedesca ben riuscita.
Carlsberg Gamle Carlsberg, lager in stile münchner dunkel di colore marrone rossastro (g.a. 4,3%). Gamle (“vecchio, antico”) intende ricordare l’originale lager dell’azienda. Presenta una morbida effervescenza media; schiuma beige e stabile che emana un piacevole profumo di caramello scuro; delicato aroma di malto, con sentori, in secondo piano, di grano, pane tostato, uvetta, zucchero di canna, vaniglia; corpo da medio a sottile di trama molto acquosa; gusto ancora di malto dolce con croccanti note di tostature; corto finale fruttato con una punta di acidità; discreto retrolfatto che esalta i cereali, ma con una secchezza capace di lasciare la bocca del tutto pulita e fresca.
Carlsberg Light 2,7%, light lager di colore dorato chiaro (g.a. 2,7%). È la tipica birra leggera da tavola: carbonazione alquanto vivace; spuma scarsa ed evanescente; aroma di grano, erbe, luppolo floreale; corpo leggero di consistenza acquosa; sapore dolceamaro sviluppato dal malto e dal luppolo in un equilibrio da manuale; finale amarognolo e molto pulito; breve retrolfatto piuttosto metallico e con un’impressione agra di limone.
Carlsberg Carls Porter, baltic porter di un intenso marrone scuro, quasi nero (g.a. 7,8%); conosciuta anche come Carlsberg Imperial Stout/Gl. Carlsberg Porter. Con una carbonazione alquanto piana, la spuma, marrone chiaro, emerge bassa e minuta. Nell’area olfattiva prevalgono nettamente sentori di caramello, vaniglia, prugne, legno di quercia, cherry brandy; con qualche lontano richiamo di caffè, cioccolato fondente, liquirizia, spezie leggere. Il corpo, abbastanza sostenuto, presenta una consistenza morbida, pressoché cremosa. Il gusto è pieno, gagliardo, delizioso: sa tanto di caramella bruciata, impreziosito peraltro da uno scalpitante fondo tostato. Il finale indugia parecchio nella sua secchezza amarognola. Da parte sua, il retrolfatto propone una lunga persistenza all’insegna di aspre suggestioni di frutta acerba.
Tra le commemorative:
Carlsberg 47, dunkel bock dall’intenso colore rosso ambrato (g.a. 7%); elaborata, nel 1972, per il 125° anniversario della fondazione dell’azienda. La moderata effervescenza genera una spuma compatta, di pregevole tenuta e aderenza. L’aroma si apre delicatamente fruttato, con qualche richiamo di caramello, noci, tostature. Il corpo rotondo, di trama fra cremosa e acquosa, alimenta un gusto di malto pieno ma secco, con deliziose note di nocciola. Il finale è risoluto, vivace, e reca un debole accenno di dolcezza. Il retrolfatto, di sufficiente persistenza, esala suggestioni di erbe, abete rosso, spezie leggere;
Carlsberg Master Brew, malt liquor di colore oro chiaro (g.a. 10,5%); presentato in occasione del 150° anniversario. La schiuma, spessa e di buona durata, è gestita da una carbonazione mediobassa. L’aroma si libera con intensi profumi di malto, caramello, mais dolce, sciroppo d’acero, frutta, zucchero di canna, tostature. Il corpo, da medio a pieno, presenta una consistenza morbida, oleosa. Il gusto, leggermente erbaceo, equilibra il moderato amarore con l’esuberante, non però stucchevole, dolcezza alcolica. Anche il finale, alquanto granuloso, reca il segno dell’etanolo che fa capolino da un fruttato amaro. Nella lunga persistenza retrolfattiva rimangono impressioni di liquirizia e di un luppolo secco.
Un cenno a parte merita la Jacobsen Brewhouse (in danese, Husbryggeriet Jacobsen), aperta nel 2005 nella fabbrica originaria Carlsberg sulla collina di Valby; ma, nel 2008, anche la sua produzione fu concentrata a Fredericia. Si tratta di birre speciali lanciate per fronteggiare l’inarrestabile movimento dei microbirrifici. Inizialmente disponibili solo in Danimarca, oggi queste specialità di nicchia si trovano anche in Norvegia, Svezia, Finlandia, addirittura negli Stati Uniti.
Jacobsen Brown Ale, brown ale di colore marrone scuro, quasi nero (g.a. 6%). Con una morbida carbonazione media, la schiuma beige emerge bassa e di scarsa ritenzione. L’aroma si libera a base di caramello, cioccolato, zucchero di canna, malto torrefatto, pane nero, noci tostate. Il corpo medio ha una consistenza oleosa e pressoché appiccicosa. Il gusto, piuttosto dolce all’inizio, va via via assumendo note amarognole con una punta di acidità che scongiurano l’eventuale stucchevolezza a opera del caramello, dello zucchero di canna, del torrone, del pane integrale, della frutta secca. Il finale arriva floreale e alquanto dolce. Dal retrolfatto si levano evanescenti impressioni di cioccolato piacevolmente amarognole.
Jacobsen India Pale Ale, india pale ale di colore arancione nebuloso (g.a. 6,6%). La spuma bianca, spessa, cremosa, è gestita da un’effervescenza medioalta. Malto tostato, caramello, luppolo fruttato, erbe, fiori, legno, agrumi, allestiscono un bouquet di elevata intensità, all’insegna di non aggressivi sentori alcolici. Il corpo medio presenta tna tessitura acquosa e un po’ grassa. Il gusto è caratterizzato da persistenti note di erbe aromatiche, pompelmo, limone, luppolo floreale, mandorle tostate. La corsa ha una lunghezza media, e sfocia in una secchezza amara. Nella discreta persistenza retrolfattiva si esaltano delicate sensazioni di buccia d’arancia.
La gamma della Tuborg è sostanzialmente simile a quella della Carlsberg, anche se le pilsner rivelano una lieve tendenza a essere più leggere e più luppolizzate. Da ricordare poi che la Tuborg nel 1998 introdusse un dispositivo chiamato “hyge-cap” per proteggere la parte superiore della lattina.
Tuborg, premium pils di colore giallo paglierino sbiadito (g.a. 5%). Conosciuta anche come Tuborg Grøn (cioè “verde”) per l’etichetta appunto di tal colore, può vantarsi di essere stata una delle prime premium internazionali, oggi esportata in oltre 100 paesi. Viene prodotta anche in Germania, secondo il Reinheitsgebot, dalla Hannen per il mercato locale. È offerta in bottiglia con l’innovativo tappo a strappo (risalente al 2005). Deve l’enorme diffusione anche al rivoluzionario sistema di spillatura lanciato nel 2007, studiato per il canale Horeca e chiamato Tuborg DraughtMaster. Si tratta di un punto di spillatura mobile con facilità di gestione (pratici e leggeri fusti usa e getta) e senza aggiunta di anidride carbonica. L’effervescenza moderata sviluppa una spuma omogenea, stabile e aderente. All’olfatto si sprigionano penetranti sentori vegetali di luppolo. Il corpo è alquanto leggero, e di trama liscia e acquosa. Il gusto sa di un morbido luppolo amaro; ma fluisce delicato e piacevole, anche se un po’ appiccicoso. Il finale amarognolo asciuga e pulisce il palato. Il discreto retrolfatto richiama il malto, insufflato di impressioni erbacee.
Tuborg Guld (Gold/Premium Lager), premium lager di colore dorato (g.a. 5,8%). L’effervescenza è moderata; la schiuma biancastra, minuta, soffice e di sufficiente ritenzione. Un luppolo fresco e persistente marca l’aroma. Il corpo, da leggero a medio, ha una consistenza un po’ acquosa. La “sapiente” combinazione del cereale e dell’amaricante realizza un notevole equilibrio gustativo. Il finale asciutto lascia la bocca del tutto pulita e infonde uno straordinario senso di appagamento. Il retrolfatto, pressoché oleoso, propone qualche suggestione di frutta.
Tuborg Royal Danish Strong Beer, strong lager di colore giallo chiaro (g.a. 7,2%). Con una carbonazione piuttosto pesante, la spuma emerge scarsa e di breve durata. L’aroma propone insistenti profumi di malto e di luppolo, con qualche accenno di frutta, mais, etanolo. Il corpo, da leggero a medio, ha una consistenza sottile e acquosa. Il gusto amabile non nasconde la forza alcolica che però si accosta al palato con garbo, regalando impressioni dolci e coinvolgenti. Al finale abbastanza secco, tiene dietro un discreto retrolfatto amarognolo e cordiale.
Tuborg Julebryg, premium lager di colore ambra scuro (g.a. 5,6%); un’offerta natalizia. La schiuma, a grana molto minuta, si leva densa e persistente. L’aroma è fresco di luppolo, con sentori, in secondo piano, di caramello, malto, pane, grano, spezie, frutta, paglia. Il corpo, da leggero a medio, presenta una tessitura alquanto grassa. Il gusto, brioso e misuratamente amaro, scorre su base parecchio secca, chiudendo con note di caramello e a malapena piccanti. Il retrolfatto, di persistenza discreta, esala suggestioni dolceamare.