Brouwerij Van Steenberge

Brouwerij Van Steenberge

Tratto da La birra nel mondo, Volume V, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Ertvelde/Belgio
Conosciuta anche come Brouwerij Bios o Schelfaut, la Brouwerij Van Steenberge si trova nel centro del villaggio di Ertvelde, appartenente al comune di Evergem, nelle Fiandre Orientali.
Nacque, come Brouwerij De Peer, nel 1784 a opera di Jean Baptiste de Bruin. Alla morte del fondatore, rimase alla moglie, Angelina Petronella Schelfaut. Morta anche Angelina, subentrò suo cugino, Jozef Schelfaut la cui figlia, Margriet, sposò Paul van Steenberge, professore di microbiologia al Ghent Brewery College.
Ovviamente, con le conoscenze scientifiche di Paul, il birrificio assunse una dimensione diversa. Furono lanciate con successo birre come Bios Vlaamse Bourgogne e Leutebock. E fu proprio la oud bruin a far adottare, nel 1919, anche il nome di Brouwerij Bios o Schelfaut. Seguirono gli investimenti necessari per ammodernare e ingrandire gli impianti, mentre i fermentatori, da tini di legno, passarono a vasche di vetro.
Quando poi la seconda guerra mondiale prese a minacciare il futuro di molti birrifici, Paul ebbe l’idea di unirsi a una cooperativa, ma si ritrovò di fronte al secco no della moglie.
Nel 1962 l’azienda passò nelle mani di Jozef, figlio di Paul e di Margriet, che, per concentrarsi sulla birra di alta fermentazione, chiuse la malteria interna e cominciò a ridurre la produzione del luppolo.
Nel 1978 il birrificio, che già nel 1950 si era accaparrata la produzione del marchio Bornem, acquisì anche quella degli agostiniani di Gand e, quattro anni dopo, lanciò sul mercato la Augustijn, seguita dalla Piraat e dalla Gulden Draak. Quest’ultima guiderà la tendenza per i sapori ricchi e complessi di birre speciali di alta fermentazione che inizieranno a crescere dopo il 2000.
Nel 1990 subentrò Paul, figlio di Jozef, che fece grossi investimenti, tra cui un nuovo birrificio completamente automatizzato.
Nel 1998 arrivò Jef Versele, della settima generazione, figlio di Greta, sorella di Paul. Con lui, dato che il mercato interno era in fase calante, ebbe inizio il flusso di esportazioni che oggi assorbe fin al 60% della produzione. Mercati principali, sono Stati Uniti, Paesi Bassi e Italia.
Le due birre di maggior successo, che tengono il passo con le tendenze internazionali, sono Piraat e Gulden Draak. Ma, accanto alla gamma propria, la Brouwerij Van Steenberge produce tante altre birre per conto terzi.
La produzione contempla quasi esclusivamente la fermentazione alta. La rifermentazione in bottiglia, con aggiunta di lievito e zucchero, è costante. Per la rifermentazione, vengono utilizzate due varietà di lievito: il primo, attivo, avvia il processo; il secondo invece, serve a conferire la tipica ricchezza al gusto.
Con l’invecchiamento poi, la più forte intensità dell’aroma viene affiancata dalla maggior rotondità del colore e del gusto. Pertanto, l’azienda offre sia la birra giovane e fruttata dei primi 3 mesi dopo l’imbottigliamento, sia quella complessa, piena di carattere, che si sviluppa dopo 18 mesi.
Poiché infine il lievito rimane sul fondo della bottiglia, non facendolo alzare durante il versamento, si ottiene una birra chiara e delicata; diversamente, la birra s’intorbida, acquista aroma e diventa più amara.
La produzione della gamma Du Boucanier avviene presso la birreria ICOBES b.v.b.a., a circa 5 chilometri dalla Van Steenberge che cura poi la logistica della distribuzione sia in Belgio che all’estero.
Gulden Draak, belgian strong dark ale di colore marrone scuro con riflessi rosso rubino e dall’aspetto opaco (g.a. 10,5%). Rifermentata con lievito di vino, viene commercializzata in un’insolita bottiglia plastificata di bianco, con lo stendardo nero, il drago d’oro e le lettere rosse. Nacque all’inizio degli anni ’80 come produzione one-shot, commissionata dal sindaco di Evergem; ma piacque tanto che finì per entrare in pianta stabile. Equilibrata e dedicata agli amanti delle birre scure di elevata gradazione alcoolica, diventò presto una delle birre scure belghe più famose; e, nel 1998 fu definita “la birra più gustosa del mondo” dall’American Tasting Institute. Con una vivace effervescenza, la schiuma, di un beige chiaro, erompe ricca, sottile, cremosa, di notevole tenuta e allacciatura. L’elevata intensità olfattiva si esprime con attraenti profumi complessi e variegati, dal malto tostato al pane nero, dal cacao alla melassa, dall’uvetta al caramello, dallo zucchero di canna alla frutta candita: elementi, tutti disponibili a comporre e mantenere vivo un ottimo equilibrio con il luppolo speziato e un lievito piccante. Il corpo medio ha una consistenza leggermente oleosa. All’imbocco, si sprigiona un forte sapore etilico, presto smorzato da note dolciastre e mielate; e, intanto che l’alcol rientra nei ranghi limitandosi a intiepidire la bevuta nel suo lungo percorso, subentra l’aprezza della prugna acerba. Si delinea così lo scorrimento, deciso e pungente, di un gusto pieno e ricco, caldo e balsamico, in uno straordinario equilibrio. La secchezza del finale ripulisce compiutamente il palato, preparandolo alle sensazioni fruttate e di liquirizia della lunga persistenza retrolfattiva.
Piraat, belgian strong golden ale di colore dorato profondo e dall’aspetto confuso (g.a.10,5%); creata nel 1982 per gli amanti dell’alto tenore alcolico su richiesta dell’importatore italiano. Con una vivace effervescenza, la schiuma bianca erompe ricca e sottile, compatta e cremosa, di buona tenuta e allacciatura. Gli aromi sono ampi, vari e complessi: luppolo agrumato e malti fruttati danno l’assalto al naso in egual misura, con forte lievito speziato in sottofondo e la giusta dose di dolcezza derivante dall’elevata alcolicità. Mentre, più in là, spirano sentori di caramello, uva passa, banana, melassa, gomma da masticare, zucchero candito; e, col riscaldamento della birra, un inebriante richiamo floreale. Il corpo medio ostenta una vellutata tessitura cremosa. A briglia sciolta, la forza dell’etanolo riscalda piacevolmente il palato: se ne avvantaggia il gusto di malto, amabile, fruttato, delicatamente infervorato dalle spezie. L’acre finale preannuncia la suggestione amara che esala dalla concitata persistenza retrolfattiva.
La Bière du Boucanier Blonde, belgian strong golden ale di colore giallo dorato intenso con sfumature ramate e dall’aspetto velato (g.a. 11%); conosciuta anche come La Bière du Boucanier Golden Ale. Una delle tre migliori birre belghe della categoria, è la più conosciuta e richiesta. Con una carbonazione piuttosto alta, la schiuma bianca si alza copiosa, minuta, compatta, di eccellente durata e allacciatura. L’aroma, ricco e intenso, spazia dal malto al caramello, dalla frutta matura agli agrumi, dal lievito speziato al luppolo floreale, dal grano alla crosta di pane, dalla vaniglia allo zucchero di canna; mentre, dal sottofondo, si leva insistente qualche spunto vegetale sotto l’energica spinta dell’etanolo. Il corpo consistente ha una leggera tessitura acquosa. L’alcol avvolge subito il palato in un sensuale abbraccio di calore e di dolcezza, intanto che si snodano croccanti note di caramello e malto torrefatto con un incisivo tocco piccante. Nel finale molto lungo spunta uno sprazzo di amarore che sembra faccia gioco per conto proprio. Equilibrio e armonia caratterizzano un retrolfatto in cui l’amarognolo raggiunge la sua punta massima per pochi secondi prima di essere risucchiato dalla calda, avvolgente, dolcezza della frutta sotto spirito.
Bios Vlaamse Bourgogne, flemish sour red ale di colore ebano con riflessi rubino e dall’aspetto opaco (g.a. 5,5%); conosciuta anche come Monk’s Café Flemish Sour Red Ale. Creata nel 1922 da Paul van Steenberge, aveva perduto nel tempo la sua popolarità; e, dopo essere diventata una birra occasionale, all’inizio del 2000 era quasi scompsarsa. Intanto, nel 1984 il publican di Philadelphia Tom Peters, durante una vacanza in Europa. aveva avuto modo di conoscere a Brussels le birre belghe innamorandosene perdutamente. Nel 1997, insieme al socio Fergus Carey, aprì il Monk’s Cafè di Philadelphia e, nel 2002 convinse il birrificio Van Steenberge a produrre di nuovo la Bios Vlaams Bourgogne sotto il nome di Monk’s Cafè. Da allora la birra viene prodotta una volta all’anno; solo che il birrificio non utilizza piùbotti di legno, per cui il blend tra birra giovane e vecchia viene fatto utilizzandotini in acciaio. La carbonazione è moderata; la schiuma marrone chiaro compatta e cremosa, ma scarsa ed evanescente. L’aroma si apre dolce, pulito, intenso, benché contrastato da sentori floreali, da frutti rossi aspri e da un lieve aceto di mela. Il corpo leggero ha una scorrevole consistenza acquosa. Caramello, ciliegia, aceto balsamico e frutti di bosco animano la dolcezza del gusto che, pian piano, però volge verso l’acetico e l’acidità lattica: e le sensazioni si fanno secche, rinfrescanti, dissetanti. L’incertezza del finale si manifesta in una sorta indefinibile di agrodolce. Più deciso appare invece il retrolofatto, con le sue piacevoli sensazioni fruttate.
Abbazia di San Bernardo/Bornem
Nel 1237 il padre cistercense Hugo van Bierbeke lasciò la propria abbazia di Villers-La-Ville per fondare l’abbazia di San Bernardo a Hemiskem. Nel 1603, a Bornem, venne fondata un’altra abbazia dai domenicani inglesi perseguitati durante il regno di Elisabetta. Nel 1797, durante la rivoluzione francese, l’abbazia di Hemiskem fu quasi rasa al suolo; quella di Bornem invece fu soltanto saccheggiata, coi monaci costretti a far ritorno in patria.
Nel 1836, i frati di Hemiskem si trasferirono a Bornem. E furono loro, nel 1950, a concedere alla Van Steenberge la licenza di produrre la birra abbaziale dietro compensi utilizzati dall’ordine per il mantenimento dell’abbazia e per le sue opere.
Bornem Tripel, abbazia tripel di un vago color pesca e dall’aspetto nebuloso (g.a. 9%); conosciuta anche come Old Buccaneer Reserve. L’effervescenza decisa sviluppa una spuma bianca alta, densa, cremosa, resistente. L’aroma, gradevole ed equilibrato, effonde profumi dolci e fruttati, di malto e zucchero bruciato, di lievito e luppolo floreale, di cannella e chiodi di garofano. Il corpo pieno ha una consistenza leggermente cremosa. Il gusto, intenso, armonioso, ricco di calore alcolico, defluisce con una particolare complessità, tra note dolcemente maltate con venature speziate e di tostature. Il finale, lungo e asciutto, reca una preziosa punta acidula che si dissolve languidamente tra le suggestioni amarognole dall’accento pepato di un’interminabile persistenza retrolfattiva. Un prodotto, questo, che può invecchiare per molti anni, proprio come il vino.
Abbazia di Santo Stefano/Gand
Nel 1296 il vescovo di Tournai, Jean de Vasognes, concesse agli agostiniani di fondare un monastero a Gand, dedicato a santo Stefano che ne divenne il patrono. Nel 1582 la chiesa e il chiostro furono completamente distrutti dai Gueux; rimasero soltanto la cucina e il refettorio. La chiesa fu ricostruita nel 1606; il chiostro, tra il 1718 e il 1720. Intanto, nel 1609, gli agostiniani avevano fondato un collegio latino che ebbe grande autorità nella regione di Gand sin alla rivoluzione francese, quando videro la loro fine sia la provincia belga che il convento. Padre Carolus Laurentius Volbracht, prima e il suo successore poi, padre Franciscus van der Mensbrugghe riuscirono in seguito a recuperare le costruzioni del convento di Santo Stefano, il solo sopravvissuto alla rivoluzione francese, e vi radunarono gli agostiniani di Gand che erano rimasti. Alla fine, nel 1978, i frati appaltarono, ricevendo danaro da ogni vendita, a Van Steenberge la produzione della propria birra con l’utilizzo dell’originale cultura del lievito conventuale.
Augustijn Blond, belgian strong golden ale di colore dorato e dall’aspetto lievemente velato (g.a. 7,5%). Sia l’etichetta che la gradazione alcolica hanno subito negli anni diverse modifiche. Filtrata parzialmente dopo la fermentazione primaria, matura per quattro settimane. Allo scopo invece di differenziarla dalle birre che potrebbero essere prodotte da altre comunità agostiniane, fuori dal Belgio viene venduta come St. Stefanus. La carbonazione è abbastanza sostenuta; la schiuma bianca, piuttosto grossolana e pannosa, ma ricca e di notevole stabilità. Aromi erbacei e fruttati di luppolo, con un pizzico di lievito e qualche richiamo di fiori bianchi, da una parte e dall’altra, sentori fruttati (pera, albicocca, banana, polpa d’arancia) e di malto, biscotto, miele, crosta di pane, allestiscono un bouquet intensamente elevato e di attraente finezza, nel pieno rispetto di un timido alito di pepe che spira dal sottofondo. Il corpo medio ha una consistenza leggermente cremosa. Il gusto reca tutta la dolcezza del miele, dello zucchero a velo, dell’albicocca, dei canditi, del biscotto al burro; e si snoda, sotto l’egida del calore alcolico, per una lunga corsa senza mai sfiorare la stucchevolezza, pur in assenza di una rigida forza equilibratrice, col luppolo che si limita all’appporto di sfumature fruttate ed erbacee. Il finale di malto è appena sfiorato dalla peraltro lieve speziatura del lievito con una nota di zucchero bruciato. Il retrolfatto si protrae a oltranza con le sue cordiali suggestioni di frutta sotto spirito.
Brasserie Vanuxeem/Comines-Warneton
Nel 1906 Henri Vanuxeem rilevò il vecchio birrificio Gilleberte e continuò a produrre principalmente birre da tavola (pils, stout, ecc.), con distribuzione locale.
Vuoi per la feroce concorrenza dei gruppi industriali vuoi per l’invecchiamento degli impianti, nel 1966 l’attività si arrestò, convertendosi alla vendita di birre locali.
Nel 1983 ebbe inizio la vendita di birre speciali e, tre anni dopo, i nipoti di Henri, Alexandre e Arnaud, decisero di riattivare la produzione, ma presso noti impianti, quali Van Steenberge, Du Bocq e Veraeghe.
Queue de Charrue Triple, tripel di colore oro antico e dall’aspetto velato (g.a. 9%); realizzata presso la Van Steenberge. La carbonazione è molto spinta; la schiuma bianca, enorme, spessa, pannosa, di straordinaria tenuta. Subito l’aroma esplode con la sua speziatura, soprattutto a base di pepe, meno di coriandolo; pian piano emergono quindi profumi di malto caramellato, miele d’acacia, banana, frutta candita, lievito e alcol a corollario. Il corpo medio ha una consistenza alquanto gommosa. Il lungo percorso gustativo si svolge all’insegna dell’amabilità, senza però mai sfociate nella stucchevolezza, con biscotto al burro, caramello, frutta secca e sciroppata, miele, zucchero candito, caramella mou, lievito. Solo verso la fine del lungo percorso viene allo scoperto la secchezza dell’alcol che è stato abilmente mascherato da una sensazione fruttata e speziata; entra in azione anche un’incisiva punta di mela acida: e il palato rimane compiutamente asciutto e pulito. Piuttosto sfuggente, il retrolfatto ripropone il calore e la dolcezza della frutta sotto spirito.
Con il fallimento, nel 2019, della Celis Brewery di Austin creata da Christine, la figlia di Pierre Celis, la Brouwerij Van Steenberge cominciò a riprodurre la più nota birra di frumento belga, con il marchio Celis White, in Europa e per gli Stati Uniti, Ertveld’s Wit.
Celis White, witbier di colore giallo paglierino tendente al grigio e dall’aspetto opalescente (g.a. 5%). La carbonazione è quella forte tipologica; l’enorme spuma bianca trabocca soffice e cremosa, stabile e aderente. L’aroma è dominato da un piacevole livello delicato di spezie (semi di coriandolo, chiodi di garofano e scorza d’arancia di Curaçao essiccata); con discrezione, si aggregano sentori di grano, caramello, banana, finocchio, camomilla, lievito, e solo un alito di luppolo floreale. Il corpo, medio-pieno, ha una decisa consistenza acquosa. Il percorso gustativo si snoda su leggero fondo di agrumi, miele, frutta secca, lievito, coriandolo, all’insegna della rinfrescante acidità del frumento belga non sottoposto a maltaggio. Il finale, segnato dal succo di limone, genera un impatto aromatico, secco, piuttosto astringente. Nella sua sottile persistenza, il retrolfatto arreca una genuina asprezza in cui si fondono armonicamente suggestioni fruttate, floreali, di lievito belga.
La Brouwerij Van Steenberge produce infine per De Hopduvel, negozio nel centro di Gand con un’infinita gamma di birre belghe:
Hopduvel Gentse Tripel, tripel di colore dorato leggermente sfumato e dall’aspetto nebuloso (g.a. 8%); con la terza fermentazione in bottiglia provocata dall’aggiunta di zucchrero cristallizzato. Con un’effervescenza abbastanza vivace, la schiuma bianca sbocca enorme, spessa, cremosa, durevole, aderente, e con un languoroso profumo di luppolo. Al naso, la speziatura del pepe e dello zenzero, dei semi di coriandolo e dei chiodi di garofano, imbaldanzisce i sentori di malto, agrumi, lievito, grano, banana, mele rosse. Il corpo medio ha una consistenza acquosa quanto basta. Il percorso gustativo si rivela regolare e con perfetto equilibrio tra un malto deciso e il morbido amaro del luppolo, intanto che si levano dal fondo senza soluzione di continuità delicati spunti fruttati e speziati. La secchezza del finale reca una forte impronta di lievito belga. Nella lunga persistenza retrolfattiva prosegue l’asciuttezza, ma con suggestioni amarognole e floreali di alcol. Prima del consumo, la bottiglia va capovolta e, dopo qualche secondo di riposo, rigirata nella posizione naturale e aperta. Durante il versamento, la bottiglia deve ruotare lentamente per far sciogliere gli eventuali sedimenti rimasti. Questo procedimento, insolito per le ale, viene eseguito con una tecnica particolarmente curata al De Hopduvel, un suo vero e proprio “marchio di fabbrica”.