St. Peter’s Brewery

Tratto da La birra nel mondo, Volume IV, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Bungay/Inghilterra
Birrificio indipendente del Suffolk.
John Murphy ne sapeva abbastanza, di marketing, se aveva creato l’agenzia di naming Interbrand a cui ricorrono grandi aziende di tutto il mondo. E, in testa, aveva le idee ben chiare quando, nel 1995, comprò un maniero del secolo XIII, adiacente alla St. Peter’s Hall. L’anno dopo infatti vide la luce un vero e proprio complesso industriale e commerciale: birrificio, ristorante, bar e beer-shop.
Con l’acqua del pozzo di proprietà e continuamente tesa verso la ricerca dell’originalità nel gusto e la riscoperta di vecchie consuetudini, la St. Peter’s propone birre artigianali di elevata qualità. La produzione, ormai sui 18 mila barili imperiali all’anno, ha sbocchi in oltre 20 nazioni, in particolare USA, Canada, Russia.
La gamma è originale e completa, con specialità, anche biologiche, che svariano tra le diverse tipologie. Particolarmente adatte al canale della ristorazione, esse vengono commercializzate in una catena di supermercati. Ma la carta vincente nel campo del marketing è rappresentata dal confezionamento, che punta il dito sull’artigianalità. Le bottiglie ovali di colore verde da 500 cl somigliano a quelle per il liquore (il prototipo fu comprato a un’asta americana). E, attaccato al collo, un opuscolo narra “la storia di …”. Per la spina invece viene usata la pompa a mano.
St. Peter’s Golden Ale, golden/blond ale di colore dorato carico tendente all’arancio e dall’aspetto lievemente velato (g.a. 4,7%). È una session beer, leggermente luppolizzata e molto floreale. Utilizza malti pale inglesi abbinati ai luppoli, sempre inglesi, Challenger e Golding. La carbonazione è piana, tipicamente inglese; la schiuma bianchiccia, ugualmente scarsa ed evanescente, anche se lascia al bicchiere i segni di una certa allacciatura. L’aroma si libera intenso, e decisamente luppolizzato; ma sono ben distinguibili i sentori secondari di miele, caramello, agrumi, erba fresca; come non manca una fievole ventata di vaniglia. Il corpo vira al leggero, in una spiccata consistenza acquosa. Apprezzabile l’equilibrio tra cereale e amaricante in un gusto morbido, cremoso, con il lievito in sottofondo e il suffragio di fresche note floreali, erbacee e agrumate. Il lungo finale, aspro, pulito, reca qualche fragrante accenno di nocciola. Le piacevoli impressioni del retrolfatto sono leggermente amare e asciutte.
St. Peter’s Honey Porter, porter di un nero ebano impenetrabile (g.a. 4,5%, originariamente 5,1%). È la tradizionale porter inglese cui, secondo un’antica usanza, viene aggiunto miele del Suffolk per stemperare l’austerità dello stile. La carbonazione è molto bassa; la schiuma nocciola, fine, cremosa, ma piuttosto scarsa ed evanescente. Al naso, sotto i profumi di malto torrefatto, aleggiano gradevoli sentori di caramello, miele, vaniglia, caffellatte, frutta matura; mentre, più da lontano, arrivano suggerimenti di cioccolato fondente. Il corpo tende decisamente al leggero, e in una consistenza alquanto acquosa per la tipologia. Nel gusto, la dolcezza dei malti e l’amaro delle tostature si rivelano ben amalgamati per un notevole equilibrio. Tra le note luppolizzate del finale compaiono tanta secchezza, un intenso amarore e una lieve acidità. Nel retrolfatto il miele diluisce le sensazioni amare che subito prendono una piacevole venatura di liquirizia.
St Peter’s India Pale Ale, india pale ale di colore ambrato con riflessi dorati e dall’aspetto confuso (g.a. 5,5%). Con una moderata effervescenza, la schiuma beige chiaro si rivela fine, compatta, cremosa, ma non così ricca e duratura. La pesante luppolizzazione si fa sentire, eccome, tramite un intenso e pervicace agrumato che relega in secondo piano sentori di malto, frutta, lievito, erbe, caramello, pane fresco. Il corpo medio ha una consistenza tra burrosa e oleosa. È ancora il luppolo a erogare, nel gusto, note citriche ed erbacee, che trovano nel malto tostato il naturale pendant per un equilibrio di tutto rispetto. La freschezza erbacea si fa notare soprattutto in prossimità del traguardo, per esaurirsi nell’amaro legnoso del lungo e aspro finale. Anche le suggestioni del retrolfatto, dopo un accenno alla frutta tropicale, risultano abbastanza cariche di un secco, pungente, luppolo speziato.
St. Peter’s Cream Stout, stout di colore ebano e dall’aspetto opaco (g.a. 6,5%). È una ricetta dell’head brewer Mark Slater che utilizza una miscela di quattro tipi di malto di provenienza locale e i luppoli del Kent Fuggle e Challenger. La carbonazione è piuttosto bassa; la schiuma nocciola, ampia, fine, cremosa, ma non così duratura. L’olfatto si propone pulito, gradevole, anche se d’intensità non certo pronunciata. I primi a comparire sono i profumi di caffè, liquirizia, cioccolato; seguiti a ruota da orzo tostato, mirtilli, caramello bruciato, frutta secca, cenere: il tutto in un caldo alone burroso. In corpo medio tende al leggero, in una consistenza abbastanza acquosa. Nel gusto, caffè, tostature, vaniglia e liquirizia si avvalgono del supporto di fondo caramellato per contrastare l’acidità dei malti scuri la quale, a tratti non all’altezza della situazione che va facendosi critica, è costretta a invocare il soccorso di un luppolo sonnecchiante, più propenso a riservare il proprio amarore a situazioni per esso più congeniali. Il finale arriva secco e amaro, ispirato al cioccolato fondente. Le piacevoli suggestioni, discretamente lunghe del retrolfatto, appaiono più agrodolci che dolceamare.