Paulaner Brauerei Gruppe

Tratto da La birra nel mondo, Volume III, di Antonio Mennella-Meligrana Editore

Monaco di Baviera/Germania
Nel 1627, su richiesta di Massimiliano I, duca di Baviera, arrivò a Monaco un gruppo di monaci dell’ordine di san Francesco da Paola e fu accolto nel monastero di Neudeck ob der Au. Di lì a poco, questi minimi, chiamati in tedesco Paulaner, cominciarono a produrre birra per il loro uso personale.
C’è da ricordare che, oltre alla penitenza, alla carità e all’umiltà, la regola redatta dal fondatore calabrese contempla un quarto voto: l’osservanza del digiuno quaresimale continuo (astensione dalle carni, dalle uova e da qualunque prodotto derivato dal latte), considerato il mezzo principale della conquista di sé stessi, e con la speranza di poter rimediare alla tiepidezza di tanti cristiani.
Per sostentarsi quindi in un così lungo periodo, i monaci producevano la Lenten, una birra forte e sostanziosa, consumata come “pane liquido” e che offrivano anche ai cittadini in cambio di una piccola offerta (una vendita relativamente camuffata insomma, per la concorrenza).
Vuoi per l ‘alta qualità vuoi per il gusto eccellente, questa birra, peraltro capace di far superare gli ultimi freddi invernali prima della Pasqua, finì per non star più bene (a parte l’invidia) ai monasteri vicini e ai birrai laici di Monaco. I primi, denunziarono i minimi al papa perché non rispettavano il santo digiuno quaresimale; i secondi, presentarono una pubblica protesta al sindaco chiedendo che proibisse la vendita esterna della birra prodotta in convento. E quest’ultimo epidodio, del 1634, fissa la nascita ufficiale della Paulaner Brauerei.
Minacciati di scomunica, i minimi interruppero la produzione; ma inviarono al papa una delegazione con un barile di birra. Per loro fortuna, il lungo e faticoso viaggio, dai gelidi passi alpini al caldo dell’Italia centrale, fece arrivare a Roma la birra in pessime condizioni. E, al primo sorso, il pontefice la sputò, definendola “orribile, imbevibile e terribilmente acida”. Sicché i minimi che, oltre a digiunare, bevevano una tal “lordura”, risultavano più rispettosi di tutti gli altri monaci.
Col beneplacito del papa, i minimi ripresero la produzione e il consumo quaresimale della loro Lenten. Per ottenere invece il diritto di vendita al pubblico, dovettero aspettare 146 anni. Ciò avvenne con l’invito, alla festa annuale del 2 aprile presso il monastero in onore di san Francesco da Paola, del duca di Baviera Karl Theodor. Il mastro birraio Barnaba, a capo del birrificio dal 1773 e quello che rimarrà il più famoso, aveva brassato una birra così forte e squisita, chiamata Sankt Vaters Bier, che il sovrano decise di non privare ancora i cittadini di quella delizia.
Purtroppo nel 1799, con lo scioglimento della comunità religiosa e la destinazione degli edifici a prigione, cessò la produzione di birra.
Franz Xaver Zacherl, nel 1806, prese in affitto il birrificio, per acquistarlo nel 1813. Non esitò quindi a sfruttare la popolarità della Sankt Vaters Bier, creando una versione personale, che, data la foza, non poteva che essere definita doppelbock. Nasceva così una nuova tipologia, la doppelbock bavarese che, inizialmente, creò non pochi problemi all’azienda, soprattutto per invidia da parte degli altri produttori.
Quella birra così forte, a detta dei detrattori, era diventata una vera e propria turbativa della quiete pubblica per la facile ubriachezza che procurava. E cominciarono a fioccare le denunce. Proprio nella trascrizione di un’udienza del 10 settembre 1835 compare per la prima volta il nome di quella birra, Salvator (“Salvatore”).
Finalmente, nel 1837, Zacherl ottenne dal re di Baviera Ludovoico I il permesso di commercializzare la birra, soltanto però durante il periodo della Quaresima.
L’amore che Ludovico I nutriva per la Salvator spinse poco alla volta gli altri birrifici di Monaco a produrre una simile birra stagionale, e così spuntarono decine di doppelbock, tutte chiamate Salvator. Fino al 1894, quando i fratelli Schmederer, succeduti a Zacherl, brevettarono il nome. Gli altri produttori furono pertanto costretti a cambiare il nome alla propria birra, e ne scelsero uno che terminasse con il suffisso -ator, a ricordo dell’originaria Salvator. Oggi, si calcola che in Germania siano registrate almeno 200 birre col nome terminante in -ator.
La Paulaner prese anche subito a distinguersi per la sua evoluzione in sintonia con i tempi e per le tecniche d’avanguardia. Tra le prime a produrre, verso la metà del secolo XIX, lager chiare, non fu seconda ad alcuna fabbrica di birra tedesca nell’adozione dei refrigeratori di Carl von Linde; addirittura installò una turbina idraulica per sfruttare la corrente di un torrente lungo la collina.
Nel 1928 acquistò la vecchia Gebrüder Thomas Brauerei, sulla Kapuziner Platz, nel cui stabile oggi ha la rinomata Brauhaus. Rilevò, nel 1976, la Hacker-Pschorr Bräu, sempre di Monaco; e, nel 1997, la Fürstliche Brauerei Thurn und Taxis di Ratisbona.
Nel 1979 la Paulaner entrò a far parte dellas BHI (Brau Holding International), una joint venture tra il Gruppo Schörghuber e Heineken. E proseguì nell’espansione.
Nel 2004 comprò la celebre birreria regionale Herrnbräu di Ingolstadt. L’anno dopo, per unificare sul mercato bavarese le gestioni separate delle forniture agli esercizi pubblici, tramite fusti, e ai negozi di prodotti alimentari e bevande, tramite bottiglie, si accaparrò la Hubauer Logistik di Graefelting, presso Monaco, uno dei concessionari plurimandatari più grossi della Germania.
È inoltre il maggiore azionista della AuerBräu di Rosenheim; e possiede anche un brewpub in Thailandia, a Bangkok. In Italia, opera tramite la filiale Paulaner Distribuzione di San Donà di Piave (VE).
Le esportazioni, cominciate già nel 1837, oggi raggiungono almeno 74 paesi (portando nel mondo l’autentica tradizione brassicola di Monaco), anche i più caldi senza bisogno di additivi, dal momento che i processi produttivi consentono un’ottima conservazione.
Tra le strategie di espansione e i supporti alla distribuzione, figurano la tradizione di vicinanza, la consulenza; oggi, anche l’aiuto per i locali che producono in proprio birra con marchio Paulaner, Paulaner Brewhouses. Un concetto, quest’ultimo, che va sempre più prendendo piede specie nei paesi con mercati in rapido sviluppo. Quanto alle sponsorizzazioni in ambito sportivo, la principale è stata senz’altro quella del Bayern Monaco fino al 2011.
La più grande azienda birraria di Monaco, la Paulaner ha cambiato diversi proprietari; ma la sede è rimasta quella originaria. Gli ampliamenti l’hanno portata a occupare due versanti della collina. Una galleria collega gli uffici con la fabbrica, tuttora in rame, e la malteria.
Sull’altura denominata Nockherberg, lo storico locale di mescita annesso allo stabilimento, Paulaner am Nockherberg, distrutto da un incendio nel 1999, è oggi una birreria aziendale da 3500 posti. Consta di tre aree principali, suddivise, a loro volta, in diverse zone, ognuna con un carattere e uno stile proprio. Nel salone delle feste, la grande Paulaner Festsaal, ogni anno, tre o quattro settimane prima di Pasqua, si tiene una cerimonia per festeggiare l’arrivo della primavera, Salvator Bierfest; e il sindaco di Monaco o il primo ministro della Baviera spilla il primo fusto della nuova Salvator.
Quanto alla produzione, l’azienda utilizza il frumento di coltivazioni locali e l’acqua di una sorgente a 240 metri di profondità. I fermentatori sono classici e nelle cantine tradizionali i prodotti comuni, tutti kräusen, maturano per cinque o sei settimane, quelli più forti invece dai tre agli otto mesi.
I circa 6 milioni di ettolitri annui, comprendono moltissimi differenti tipi di birra, alcuni particolarmente espressivi. Birre, di corpo solido e di carattere più secco, rispetto a quelle delle altre fabbriche di Monaco, però decisamente marcate dal malto.
Insieme, infine, alla Hacker-Pschorr Bräu, alla Spaten, alla Augustiner, alla Löwenbräu e alla Hofbräuhaus, la Paulaner costituisce il gruppo delle big six (“le grandi sei”), le fabbriche ossia che dominano incontrastate l’industria birraria di Monaco.
Paulaner Original Münchner Hell, münchener hell di colore biondo dorato (g.a. 4,9%). Lanciata alla fine del secolo XIX, ebbe immediato successo. Oggi, è tra le favorite dei consumatori della Germania meridionale e viene esportata in almeno 30 paesi del mondo. Con una carbonazione moderata, la schiuma bianca sbocca copiosa, sottile e duratura. All’olfatto s’impongono, intensi e puliti, profumi di malto e di luppolo erbaceo, senza comunque disturbare il più tenue spirare dei sentori di lievito, miele, cereali, pane, agrumi. Il corpo, da leggero a medio, presenta una consistenza abbastanza acquosa, quella ovvero tipicamente bavarese, per assicurare la facilità di bevuta. Il gusto, pieno ed elegante, comincia col deliziare grazie alla sua freschezza acidula, prosegue con un dolce intermezzo maltato assolutamente lontano dalla stucchevolezza, porta a termine una corsa regolare col delicato morso di un luppolo terroso che emerge dal fondo piuttosto asciutto. Senza remore viene invece a galla, nel discreto retrolfatto, un’amabile suggestione di malto.
Paulaner Original Münchner Dunkel, münchener dunkel di colore marrone rossiccio (g.a. 5%). Con una moderata effervescenza, la spuma nocciola emerge ricca, cremosa, di sufficiene durata e ottima aderenza al vetro. L’olfatto, benché non troppo pronunciato, sa esprimere piacevolmente i suoi profumi di malto torrefatto, caramella mou, grano, frutta scura secca, cioccolato, banana, pane nero tedesco, melassa, lievito, toffee, rovere, liquirizia, chiodi di garofano; intanto che dal sottofondo spirano lievi luppoli floreali. Il corpo, da leggero a medio, ha una tessitura alquanto cremosa. Nel gusto, alla scarsa presenza dell’amaricante suppliscono adeguatamente le intense, anche se non così persistenti, note di torrefazione; torrefazione, che provvede anche a fornire quella preziosa punta di acidità capace di donare brio e freschezza al palato un po’ impastato dalla dolcezza. Il finale è delicatamente secco, a tratti croccante, nella sua consistenza tostata che alita quasi di fumo. Ed è proprio la secchezza a introdurre le suggestioni amarognole del discreto retrolfatto.
Paulaner Premium Pils, pilsner di colore giallo paglierino pallido (g.a. 4,9%); la classica pils di Monaco, equilibrata e di grande bevibilità. Con una carbonazione decisamente forte, la schiuma bianca trabocca minuta, soffice e duratura. Un intenso luppolo erbaceo, in sinergia con sentori floreali, di malto, lievito, bacche aspre, scorza di agrumi, pane tostato, miele, allestisce un bouquet olfattivo di piacevole finezza. Il corpo, da leggero a medio, ha una consistenza tipicamente acquosa. Il gusto, segnato all’imbocco da una gradevole dolcezza di malto biscotto, viene via via sommerso dalle note amare di un luppolo erbaceo e finisce per svanire in una secchezza più acida che aspra. L’amarognolo persistente del retrolfatto è apportatore di una straordinaria freschezza.
Paulaner Salvator, doppelbock di colore ambra con sfumature ramate e dall’aspetto alquanto velato (g.a. 7,9%). Viene elaborata con tre tipi di malto, nonché varietà amare e aromatiche del luppolo Hallertau. Il produttore sostiene che sia assolutamente fedele a quella elaborata nel 1780 da fra Barnaba per la festa presso il monastero in onore di san Francesco da Paola alla quale partecipò il duca di Baviera Karl Theodor. Con una carbonazione moderata, la schiuma caramello sbocca fine, compatta, cremosa, di pregevole tenuta e aderenza. Malti caramellati, frutta secca, pane nero, cereali tostati, miele, caffè, lievito, amaretto, luppolo, spezie leggere e un alito di alcol, sono, questi, gli elementi caratterizzanti di un bouquet olfattivo che avremmo potuto definire di elegante finezza in assenza di quella minima pecca di pulizia peraltro giustificabile in un prodotto plurisecolare. Il corpo, medio-pieno, presenta una morbida trama ai limiti della cremosità. Nel gusto, dobbiamo subito elogiare l’eccezionale equilibrio tra cereale e rampicante, sotto la cui egida il malto torrefatto effettua, su solida base aspra di luppolo, una lunga corsa che termina tra le note calde, dolci e briose, della frutta sotto spirito. Nella lunga persistenza retrolfattiva si esaltano suggestioni di lievito e pane appena sfornato.
Paulaner Hefe-Weissbier, hefe weizen di colore arancio con lievi riflessi dorati e dall’aspetto torbido (g.a. 5,5%). È il prodotto più venduto della casa. In passato, contribuì a rendere popolari le birre di frumento negli Stati Uniti. Negli ultimi anni, si è affermata sempre più come stile di vita ed è apprezzata soprattutto dai giovani. L’effervescenza decisa produce una bianchissima schiuma, spessa, pannosa e aderente, che rimane per tutta le bevuta. I freschi profumi floreali accompagnano quelli dei cereali e del lievito, con lievi sentori aciduli frammisti, a loro volta, ai chiodi di garofano; mentre, dal sottofondo, si limitano a dar segno di vita fieno e vaniglia, banana e luppolo. Il corpo appare leggero, nella sua consistenza non proprio acquosa. Nel gusto, dominato dal lievito con le sue caratteristiche note di banana, e, in secondo piano, dall’acidulo, si alternano il dolciastro e l’erbaceo, insufflati di frutta matura e delicatissime spezie; intanto che la corsa procede, frizzante, briosa… invitante. Benché avverta una blanda marcatura di malto, il finale si rivela decisamente secco e sgrassante. Nel retrolfatto si percepisce invece una netta quanto piacevole impressione amarognola. Si consiglia di versare questo prodotto a 45° e di ruotare energicamente la bottiglia verso la fine: i residui di lievito nel fondo, oltre a dar sapore, sono ricchi di vitamine, minerali e oligominerali.
Paulaner Hefeweissbier Dunkel, dunkel weizen di colore ramato carico con riflessi aranciati e dall’aspetto velato (g.a. 5,3%). La carbonazione è decisa; la schiuma beige, fine, cremosa, stabile per tutta la degustazione. L’aroma, fresco e intenso, evoca il malto tostato; ma solo in superficie, perché dal sottofondo si fanno sentire, eccome, odori di banana, frumento, lievito, erbe, pane nero, prugne secche, chiodi di garofano. Il corpo, da leggero a medio, presenta una consistenza piuttosto oleosa. Le sensazioni avvertite all’olfatto ricompaiono nel gusto, con un’attraente finituta speziata, che colma qualche accenno di squilibrio tra il malto e il fruttato. La corsa dura abbastanza, e si perde in una secchezza alquanto pungente. Sensazioni di tostature, dall’accento acidulo, segnano la discreta persistenza del retrolfatto.
Hacker-Pschorr Bräu/Monaco di Baviera
Joseph Pschorr, figlio di contadini, a 15 anni ottenne il permesso dal padre per un apprendistato di birra a Monaco. Laureatosi presso l’Oberkandler-Bräu, nel 1793 (aveva ormai 23 anni) sposò Maria Theresia, figlia di Peter-Paul Hacker, proprietario di Hacher-Brauerei, risalente al 1417. Non risultò quindi difficile rilevare l’attività dal suocero per 34 mila fiorini.
Verso la fine del secolo, Joseph fece scavare sotto la fabbrica un’enorme cantina di stoccaggio che consentiva di mantenere la birra fresca anche d’estate e, per primo, iniziò la produzione nell’arco dell’intero anno. Quindi acquistò, nel 1820, la Brauerei Zum Bauernhansl e fondò la Hacker-Pschorr-Brauerei, la prima azienda a esportare negli Stati Uniti il sistema della birra alla spina.
Alla morte di Joseph, nel 1841, i figli, Georg e Matthias, decisero di seguire due strade separate: il primo, a capo della Pschorrbräu e, il secondo, a capo della Hackerbräu.
Nel 1881, mantenendo la maggioranza azionaria, Matthias trasformò la sua azienda in pubblica. Lo stesso fece, nel 1922, Georg.
Durante la seconda guerra mondiale, la Pschorrbräu fu distrutta dai bombardamenti. Sicché Georg fu costretto a utilizzare gli impianti del fratello due volte a settimana.
Nel 1972 i due birrifici si fusero sotto il nome di Hacker-Pschorr Bräu. Mentre, fino al 1975, le birre continuarono a essere commercializzate sotto due marchi diversi.
Assorbita nel 1976 dalla Paulaner, la Hacker-Pschorr Bräu conservò la propria identità, continuando a produrre la tradizionale gamma di birre tedesche: helles, dunkel, pilsner, märzen, bock, doppelbock, weisse. Prodotti, piuttosto secchi e senza la tipica morbidezza monacense; sicuramente però dal carattere più deciso rispetto a quelli di altre regioni e paesi. Ma, dal 1998, la produzione venne trasferita presso la fabbrica della Paulaner.
Mentre, col rifiorire in Baviera della weizen negli anni ’80 del secolo XX, la Hacker-Pschorr Bräu non si era lasciata sfuggire l’occasione per promuovere con successo i propri marchi, insieme alle lager chiare; ma alla fine aveva puntato sulla Edelhell.
Nel 2006 la Hacker-Pschorr Bräu rilevò la Weißbierbrauerei Hopf di Miesbach (vedi Hopf), che ha comunque mantenuto la produzione nel proprio stabilimento.
In veste di una delle big six, la Hacker-Pschorr Bräu possiede uno dei più grandi stand alla Oktoberfest. Le sue birre si possono inoltre degustare alla Zum Pschorr-Bräu, in Neuhauser Strass, e, d’estate, alla Altes Hackerhaus, nei pressi della Marienplatz.
Hacker-Pschorr Edelhell, helles di colore dorato pallido (g.a. 5,5%). Con una media effervescenza, la schiuma bianca trabocca ricca e di consistenza soffice. L’olfatto si esprime con eleganti odori di malto, frutta, lievito, paglia, miele, erba, cereali, pane fresco, agrumi, zucchero candito, luppolo floreale. Il corpo, da leggero a medio, presenta una trama con lieve tendenza all’acquosa. Il gusto, fresco e pulito, inizia con un dolciastro di malto, prima e poi, di frutta matura, per scivolare pian piano in note di luppolo erbaceo che ha però solo il compito di tenere in piede un decente equilibrio. Il finale è corto, asciutto, e con una certa asprezza di fondo. Non dura molto di più il retrolfatto, in un mix agrodolce di erbe e cereali.
Hacker-Pschorr Oktoberfest Märzen, oktoberfest/märzen di colore ambrato con riflessi dorati (g.a. 5,8%). Viene prodotta per la Oktoberfest. Con una media effervescenza, la schiuma biancastra, fine, cremosa, ha buona durata e un minimo di allacciatura. Nella sua dolcezza, e grazie alla partecipazione a malapena percettibile di un luppolo erbaceo, l’aroma mescola sentori di miele, biscotti, crosta di pane, malto tostato, bacche rosse, caramello, grano fresco, frutti di bosco. Il corpo, medio-leggero, ha la tipica consistenza acquosa bavarese che assicura facilità nella bevuta. Anche nel gusto il cereale si crea subito un ampio spazio per esprimere la propria amabilità; ma qui le cose cambiano abbastanza: all’inizio sonnolento, il rampicante intensifica man mano le sue note secche e amare, ma non con velleità prevaricanti, solo per assicurare l’equilibrio a una prestigiosa birra tedesca. Comunque, l’equilibrio si allenta nel corto finale, quando un delizioso malto biscotto riesce a prendere il sopravvento, lasciando un retrolfatto discretamente lungo, abboccato e caldo, anche un po’ appiccicoso.
Hacker-Pschorr Animator, doppelbock di colore marrone rossastro profondo e dall’aspetto lievemente velato (g.a. 8,1%). Nata nel 1820, soltanto dal 2004 figura in pianta stabile. Classica birra nutriente per la primavera, viene offerta nella tradizionale bottiglia con tappo a macchinetta. Con una carbonazione quasi piatta, la schiuma crema fuoriesce a grana piuttosto fine, di modeste dimensioni ma con sufficiente durata. L’olfatto si esprime molto piacevole, con profumi di malto tostato, marzapane, frutta secca, zucchero di canna, liquirizia, cioccolato, toffee, caramello bruciato, miele, tabacco, chiodi di garofano, luppolo fresco e piccante, buccia di arancia e di limone. Il corpo, medio-pieno, presenta una trama viscosa e piuttosto untuosa. Il denso gusto di malto, con ben distinte insufflazioni fruttate, di cioccolato, lievito, vaniglia, nocciola, chiodi di garofano, liquirizia, e a malapena un richiamo di luppolo, si fonde a meraviglia con note di anice, sherry, brandy, diventando caldo, coinvolgente, appagante. La secchezza speziata del finale si stempera nella sonnolenta persistenza retrolfattiva marcata da un luppolo più terroso che erbaceo.
Fürstliche Brauerei Thurn und Taxis/Ratisbona
Nel 739, a Ratisbona, sul sepolcro di Emmerano, vescovo itinerante di Poitiers (in Aquitania) e martire intorno al 652, fu fondata l’abbazia benedettina di Sant’Emmerano, che passò sotto la reggenza in commendam dei vescovi di Ratisbona appunto.
Nel 975 Volfango, uno dei primi vescovi tedeschi a prendere iniziative del genere, rinunziò alla propria posizione di sovranità sull’abbazia dichiarandola indipendente dall’arcivescovato. E lo scriptorium di Sant’Emmerano divenne, nel Medioevo, un centro di produzione libraria di altissimo livello per le delicate miniature che vi venivano eseguite.
Nel 1295 Adolfo di Nassau garantì all’abbazia il titolo di “abbazia imperiale”, facendone un dominio indipendente soggetto solo all’autorità imperiale che egli rappresentava.
A loro volta, i Thurn und Taxis, fino all’abolizione, nel 1806, del Sacro Romano Impero, furono sovrani di un piccolo principato. Comunque loro avevano sempre avuto la residenza altrove: fino al 1701, a Bruxelles; poi, a Francoforte; e infine, dal 1748, a Ratisbona.
Nel 1812, a titolo di rimborso per la perdita del monopolio postale in Baviera, i Thurn und Taxis ottennero gli edifici dell’abbazia imperiale.
Nel 1816 nasceva così uno dei monumenti più importanti dello storicismo tedesco, a tutt’oggi sontuosa residenza dei Thurn und Taxis, ovvero il Castello Thurn und Taxis e Basilica di Sant’Emmerano.
Anche se l’attività brassicola nel 1996 fu venduta alla Paulaner, i Thurn und Taxis rimangono con una lunga e gloriosa storia in questa industria; in particolare, si distinsero sempre nel preservare le tradizioni di circa 120 birrifici regionali di loro proprietà fusi successivamente nella Fürstliche Brauerei Thurn und Taxis.
La produzione, che comprende un assortimento ampio e variegato, continua sotto il nome dei Thurn und Taxis; ma l’ultima birra uscita dalla birreria principesca di Ratisbona risale al 2005.
Thurn und Taxis Roggen, speciality grain di colore mogano e dall’aspetto leggermente torbido (g.a. 5,3%); con rifermentazione in bottiglia. Si tratta di un prodotto piuttosto nuovo; ma non, come dichiarava la pubblicità, “la prima birra di segale in 500 anni”, considerando il sahti dei finlandesi. Fu lanciata nel 1988 da una fabbrica di Schierling (in Franconia), di proprietà dei Thurn und Taxis e il cui edificio un tempo apparteneva a un convento del secolo XIII. Viene elaborata con malto di segale (nella misura del 60%), d’orzo e di frumento, restando nell’ambito del Reinheitsgebot. Tutti gli ingredienti sono di provenienza locale e a coltivazione controllata. L’effervescenza media forma una spuma crema, abbondante, viscosa e non molto persistente. L’aroma mostra una certa complessità, nei suoi sentori, non così pronunciati, però puliti e gradevoli: segale (col suo caratteristico tocco di classe), caramello, lievito speziato, grano, chiodi di garofano, noci tostate, malto dolciastro, banana troppo matura, erbe fresche, mela rossa, zucchero di canna. Il corpo, medio-pieno, ha una consistenza lievemente cremosa. Il gusto si snoda relativamente abboccato, aspro e asciutto, fruttato e speziato, e con una buona acidità conferita da lievito e cereali; mentre alla componente equilibratice amara pensa un delicato luppolo floreale. Dal finale emerge una fervida nota speziata e amarognola, che preannuncia la freschezza del lievito nel lungo retrolfatto.